Nel tempo dopo il Tempo, quando delle gloriose città che popolavano la Terra erano rimasti solo macilenti scheletri di cemento e ruggine, e il cielo portava la memoria del fuoco nelle sue nubi rossastre, il verde glorioso che ricopriva il suolo era solo un pallido ricordo e il terreno nudo e secco era attraversato da esseri dalle forme contorte che lottavano per la sopravvivenza. Gli alberi, simili a fantasmi sparuti e pallidi, spalancavano i loro rami verso il cielo come braccia alzate in cerca di aiuto e l’erba, quella vera, un sussurro che solo i vecchi ricordavano. La pioggia cadeva acida, e i fiori erano diventati disegni sui muri, sbiaditi dal vento.
I sopravvissuti contendevano ossigeno e acqua al resto delle forme viventi in un mondo che continuava a girare ostinatamente.
Nel mondo del 2249, i fiori erano diventati leggenda. Non che non esistessero più del tutto, ma erano rari quanto i sogni dei bambini: visti da pochi, creduti da meno. L’aria, troppo satura di metalli e polveri sintetiche, non accarezzava più le corolle, e le api erano svanite come note al termine di una sinfonia.
Ma Lira non aveva mai smesso di sognare il profumo di qualcosa che non conosceva ma che, dentro di sé, sentiva appartenerle. Abitava nella periferia di quella che un tempo era stata una grande metropoli e che ora era conosciuta con il nome di Oblivonia, in una casa ereditata da un nonno che ricordava solo per un sorriso nelle vecchie foto, sempre accanto a piante in fiore. Il giardino dietro casa era ora un terreno duro e sterile, coperto da plastica rinsecchita e muschio grigio.
Una sera di pioggia sottile e luce fredda, durante uno dei suoi momenti di sconforto, in cui la solitudine le pesava più del solito, Lira salì nella soffitta della casa, un luogo che odorava di passato e di polvere stantia, alla ricerca di echi del passato in grado di tenerle compagnia. Rovistando fra i cumuli di oggetti dimenticati, trovò un vecchio baule di legno. Sopra c’era inciso un fiore a sei petali, intarsiato nel legno con mani amorevoli. Dentro, avvolti in vecchi stracci, c’erano decine di libri. Veri, con pagine consumate e illustrazioni colorate: trattati di botanica, erbarî, diari con note scritte a mano, come preghiere alla terra. E poi, più in fondo, piccole bustine di carta cerata, ciascuna etichettata con cura: Lavandula angustifolia, Rosa canina, Calendula officinalis, Papaver rhoeas… semi. Veri semi, addormentati come stelle in attesa del buio giusto.
Un tesoro dimenticato.
Con le mani tremanti, Lira li accarezzò a uno a uno, come fossero neonati.
Accanto a ciò, un biglietto scritto dal nonno: “La Terra ricorda, anche se dorme. Se hai trovato questo, vuol dire che il tempo del Risveglio è vicino. Non avere paura di piantare sogni”.
Da quel momento Lira si dedicò completamente alla lettura. Ogni sera, scopriva come fare fiorire una pianta. Studiava i terreni, le esposizioni, le cure. Poi, un giorno, quando si sentì pronta, recuperò dei vecchi arnesi da giardinaggio arrugginiti e cominciò a scavare nel suo giardino. Arò le zolle di terra rinsecchite e aride, la nutrì con compost che creava lei stessa usando vecchie ricette del nonno. Piantò i semi con la devozione di chi sa di toccare qualcosa di sacro.
Le stagioni cambiarono lente, come le sinapsi del mondo che tentava di ricordare. E un mattino, un germoglio. Poi due. Poi un’esplosione di verdi e viola, gialli e rossi. Il giardino si riempì di vita. Il vento profumava. Gli insetti tornarono. Prima piccoli coleotteri, poi farfalle sottili come carta, e infine… il ronzio.
Un suono dimenticato si diffuse tra le corolle: il canto delle api.
Arrivavano da lontano, come se il giardino fosse un faro acceso nella notte sterile. Lira costruì piccoli rifugi, osservò i loro voli, ascoltò i messaggi segreti che portavano da fiore a fiore. Era come se il nonno parlasse attraverso di loro, una lingua fatta di pollini e danza.
Il giardino di Lira divenne leggenda. Altri giovani vennero a vedere, a chiedere, a imparare. E pian piano, altri semi furono piantati, in altri giardini. Il futuro ricominciò a fiorire, da una soffitta, da un baule, da una ragazza che aveva creduto nei sogni scritti sulla carta. La città venne ribattezzata Floraviva e, in ogni petalo nuovo che sbocciava, c’era il battito del cuore di un mondo che non voleva arrendersi.

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