“La gallina con dò teste la go vista svolazzar sora i colli de Trieste l’alabarda sventolar. Qua se magna qua se bevi, qua se vivi in abondanza, pasta e ceci non ne manca. E VIVA l’A E PO’ BON xe questo el moto triestin, che l’A vada ben, che l’A vada mal, sempre alegri e mai passion. Viva l’A e pò bon.”
Oltre 50 anni fa, le mie giovanissime amiche di Trieste, mi insegnarono questa canzoncina mentre viaggiavamo a bordo di uno scassatissimo pulmino Wolkswagen, fermato facendo l’autostop. Da Villa Opicina ci avrebbe portate al mare di Sistiana.
La A maiuscola del ritornello significa AUSTRIA. Trieste, infatti, per secoli appartenne all’Austria e lo stemma della città riproduceva una gallina con due teste. In realtà si trattava dell’Aquila bicipite imperiale: la canzoncina é diventata leggendaria dopo la caduta dell’impero Asburgico.
Da sempre i giovani triestini (che sono chiamati la Muleria de Trieste) amano scherzare su tutto e comporre con molta fantasia filastrocche allegre e sagge in occasione di fatti serissimi; per esempio: il deragliamento di un tram, la costruzione di un tempio Mariano che deturpa il panorama dell’Altura, la cattura di un maniaco che girando per la città punge con uno spillone le natiche delle donne per strada.
“La gallina con dò teste” mi torna alla mente ogni qualvolta qualcuna pronuncia la parola “gallina”; tant’è che al Laboratorio di Scrittura, sabato scorso, me la stavo cantando sottovoce, distraendomi dalla lezione.