Chi siamo › Forum › IL MIELE EREDITATO di Efrain Barquero › La mia nonna Bortolina (Miele ereditato)
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16 Marzo 2019 alle 16:39 #443
Al mio paese la terra dava il massimo del raccolto in autunno: uva, granturco, patate, legna, funghi e castagne. Era tutto un movimento di carri, di cavalli, di buoi, di ceste, gerle, le falci rifacevano capolino per ripulire i prati dell’ultima erba.
Cavalli e carrettieri facevano la spola tra i filari dei campi e le aie e anche le mucche, prigioniere del basto, snariciavano su carretti stracolmi.
Le giornate si accorciavano. L’uva diventava vino, le patate si raccoglievano in grossi mucchi nella cantina al buio e così via, ogni ben di Dio trovava la sua madia. Il granturco invece veniva portato a mano sui solai e ammucchiato in attesa di essere sfogliato; le pannocchie poi, raccolte in mazzi e disposte a cavalcioni su rastrelliere, si esponevano, come panni, ad asciugare. Da un giorno all’altro finestre e logge si vestivano di un colore rame-tramonto, sfida ai raggi ormai già un po’ impalliditi del sole. Per sfogliare il granturco alla sera si passava da una casa all’altra e per i bambini rotolare tra le foglie secche, addobbarsi con le ‘barbe’ bionde o brunite delle pannocchie era teatro, era festa.
Fu durante queste serate che io sentii parlare di una mia nonna che non avevo conosciuto perché era morta prima che mia mamma si sposasse. Si chiamava Bortolina Bedognè, un cognome importato per il mio paese e si raccontava che avesse, per ben tre volte, navigato l’oceano verso l’America in cerca di lavoro e magari fortuna.
L’ultimo viaggio fu nel 1909. Era rimasta vedova mentre aspettava l’ultimo dei quattro figli. Non riesco nemmeno a immaginare con quanti stenti e con quanta fatica fosse riuscita a crescerli.
Nel 1909 quindi, la mia mamma aveva 15 anni, s’imbarcò nuovamente per l’America. La destinazione era Monongahela– Pittsburg dove una lontana parente, detta zia Fiaca, gestiva una pensione per minatori.
La compagnia marittima francese inaugurava un nuovo piroscafo che salpava da Le Havre. La mia mamma raccontava di una ferrovia sopraelevata che ‘sorvolava’ Parigi e delle tante meraviglie di quel lungo viaggio in treno. Del bastimento invece preferiva non parlare, il mal di mare l’aveva tormentata per tutto il viaggio, la terza classe era alloggiata nella stiva e certamente i
confort erano miseramente limitati alla nemmeno garantita sopravvivenza. Dopo 20 giorni videro la statua della libertà che dicevano essere più alta del campanile e con una faccia molto..seria. I passeggeri della prima e della seconda classe venivano sbarcati nel porto di New York mentre quelli della terza classe venivano dirottati con “carrette” su Ellis Island dove dovevano essere sottoposti a visite e controlli. Nella traversata della baia molti bambini morivano di freddo e anche gli adulti, stretti come sardine, si ammalavano.
Loro superarono anche questa disumana prova e dopo non si sa bene quanti giorni, raggiunsero Monongahela.
Per i primi tempi dormirono tutti in uno stesso letto, con la sola rete, nel solaio della pensione poi i due figli maschi trovarono lavoro nell’indotto legato alla miniera e le due ragazze aiutavano la zia Fiaca per il bucato, la cucina ecc.
La pensione ospitava emigranti non solo italiani, diceva mia mamma, ma anche slavi, greci, francesi e ognuno voleva mangiare a modo suo ma la zia Fiaca non dava retta a nessuno.
Ritornarono nel 1915 o giù di lì: era scoppiata la prima guerra mondiale e per gli emigranti con figli maschi che volevano rimpatriare, il viaggio era gratis.
Certo la Bortolina non tornava perché voleva che i suoi figli diventassero eroi ma aveva lasciato dei debiti ed era necessario farvi onore.
Il gruzzolo le permise anche di aggiustare la casa e avviare un commercio di tessuti.
I suoi figli avevano come lei l’anima irrequieta. Un mio zio e mia mamma avviarono attività commerciali mentre degli altri due uno ritornò a Monongahela e sembra che non abbia avuto grande fortuna, mentre l’altra sfogò la sua espansività e temperamento artistico nella crescita di ben sette figli.
Avrei potuto colorare di sentimento gli stenti, le fatiche, il coraggio per imprese così azzardate, in balia degli eventi e degli imprevisti più inimmaginabili ma, credo, che per questa mia nonna Bortolina Bedognè ved. Bottanelli i sentimenti fossero un’allettante ipotesi sulla quale era rischioso soffermarsi, debolezze fuorvianti.
– Bisogna ogni giorno andare avanti con quello che si ha, perché se ci guardi bene è sempre tanto – Questo era il motto della mia mamma e me lo ripeteva tutte le volte che io volevo qualcosa di più di quel sempre poco che c’era.
E’ passato un secolo e la storia si è mangiata tutto e la letteratura ha dato parole ai sacrifici o sacrifici alle parole e anche solo cercare di immedesimarsi in queste vite tribolate toglie fiato e allegria.
Poco tempo fa ho visto un film di cui mi sfugge il titolo.
Rifaceva la storia degli emigranti a Ellis Island. Non mi aveva riportato alla memoria la storia della nonna Bortolina ma mi aveva fatto piangere.
Adesso siamo noi l’altra faccia di quelle storie?- Questo topic è stato modificato 5 anni, 7 mesi fa da Benedetta Murachelli.
21 Marzo 2019 alle 10:04 #459Un racconto da trasporre in un film, oppure in una serie televisiva. Mi è parso di vivere tutti i momenti di un lungo viaggio nel tempo e nello spazio e che regala spunti di riflessione.
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