C’era un tempo in cui il cielo mi sembrava un soffitto inavvicinabile, una cappa d’azzurro stanco, e le mie giornate si trascinavano come foglie trascinate dal vento. Vivevo tra le pareti di una casa che non avevo scelto, dentro abitudini troppo strette, come scarpe d’infanzia che nessuno si cura di farti cambiare e alle quali ti adegui.
Poi accadde. Non tutto in una volta, no: le cose vere crescono in silenzio, come le radici sotto la neve.
All’inizio fu un sussurro. Forse una parola letta per caso, forse il suono di una melodia lontana. Qualcosa dentro di me si risvegliò, come un uccello che si ridesta nel guscio.
Fu quella volta che finalmente sognai.
Mi rifugio sul tetto, sola con le stelle. Guardo il buio come si guarda un abisso e, nel farlo, sento che qualcosa sta cambiando. Mentre osservo il sole calare dietro i tetti, sento una fessura aprirsi nella schiena. Comincio a sentire il battito: tum, tum, proprio lì, tra le scapole. È un formicolio, un fremito caldo. Nessuno lo vede, ma io lo so. Le ali stanno arrivando.
È dolore, sì, ma è anche nascita. Le ossa si dilatano, la pelle si tende e poi… un respiro lungo come un volo. Stendo le braccia verso l’alto e, con un leggero salto, spicco il volo. Sotto di me e sopra di me, un infinito senza meta.
Quando mi svegliai, potevo ancora sentire il prurito delle ali sulla pelle.
Mi crebbero le ali la notte in cui smisi di aver paura. Quando non mi interessava più dove mi trovavo, ma dove potevo andare.
Ora volo. Non nel cielo, no, ma tra le parole, nei sogni degli altri, nei silenzi che sanno ascoltare. Le mie ali non sono piume, ma luce e memoria. Non si vedono, ma ci sono. Ogni volta che scelgo la verità, ogni volta che perdono, ogni volta che suono, ogni volta che scrivo.