Rosa venne chiamata da suo padre, che le comunicò che lui e la moglie avevano scelto il suo futuro sposo. Rosa era in età da marito già da due anni, aiutava la madre e i fratelli nelle faccende domestiche, badava alle galline e l’anno prima aveva lavorato per la prima volta insieme alle altre mondine al servizio della famiglia Pallestrini.
La sorella più grande, Teresa, figlia della prima moglie di suo padre, Veronica, prestava servizio in casa Pallestrini come domestica già da dieci anni e si trovava bene. Il padrone, che di professione era cerusico, era esigente e di poche parole, ma giusto con lei, raccontava.
Tutte le mogli dei suoi fratelli e i mariti delle sue sorelle erano stati scelti dai genitori tra i figli delle famiglie contadine del piccolo borgo agricolo lomellino dove la famiglia si era stabilita due generazioni prima, ai tempi del nonno Carlo, capostipite del clan al serivizio dei Pallestrini di Mede.
Vivevano in cinquecento a Villa Biscossi, la famiglia Pallestrini gestiva un’importante azienda agricola che comprendeva diverse cascine. <span class=”relative -mx-px my-[-0.2rem] rounded px-px py-[0.2rem] transition-colors duration-100 ease-in-out”>La proprietà agricola dei Pallestrini si estendeva su un ampio territorio, comprendente terreni irrigui e coltivazioni di riso, cereali e foraggi, oltre all’allevamento di bovini.</span> <span class=”relative -mx-px my-[-0.2rem] rounded px-px py-[0.2rem] transition-colors duration-100 ease-in-out”>Questa azienda agricola era nota per l’adozione di pratiche agricole moderne e per l’attenzione alle condizioni di vita e di istruzione dei lavoratori.</span> <span class=”relative -mx-px my-[-0.2rem] rounded px-px py-[0.2rem] transition-colors duration-100 ease-in-out”>I Pallestrini partecipavano a importanti esposizioni internazionali, come l’Esposizione Universale di Parigi del 1856, per presentare i prodotti agricoli di Villa Biscossi.</span>
La maggior parte dei lavoratori erano mezzadri per i Pallestrini, ma i parenti di Rosa erano bifolchi, si occupavano dei buoi.
Rosa era nata in casa come tutti, era la decima dei figli di suo padre, di cui ne sopravvivevano sette. Sua madre si era risposata dopo essere rimasta vedova e aveva dato alla luce Siro, Maria e Maria Teresa. Francesco era nato da una relazione extra-coniugale del padre Ambrogio.
Rosa era una bambina equilibrata e vivace, dotata di grande sensibilità. Dalla madre e dalla zia materna aveva ereditato la propensione per i sogni ad occhi aperti, ma aveva anche imparato a ricamare e si divertiva a comporre intricati disegni per la sua futura dote.
Sognava di sposare, come una sorella più grande, un uomo agiato, o per lo meno un artigiano o un commerciante, che la trattasse gentilmente e guadagnasse abbastanza da farle mangiare qualche volta la carne. A casa loro la carne si vedeva raramente, al massimo qualche rana o qualche pesce catturato dai fratelli nei fossi.
Alla sera si sedevano tutti attorno al fuoco sull’aia e, mentre arrostivano pannocchie di mais e pescato, Rosa intonava canzoni per l’intera famiglia. Aveva un animo gentile e non mancava mai di portare l’acqua per dissetare i genitori e i fratelli nei campi, era il suo compito.
Dunque il padre le comunicò il nome del suo futuro sposo. Rosa lo conosceva fin da bambina, avevano giocato insieme a rotolarsi nel fieno, si erano arrampicati insieme sugli alberi e insieme si erano lanciati nei fossi nelle assolate giornate d’agosto per acchiappare rane e pesci.
Il futuro sposo voleva diventare commerciante e Rosa sapeva che aveva in progetto di lasciare Villa Biscossi appena possibile e trovare il modo di imparare a leggere e scrivere. Lì da loro erano tutti illetterati, anche i genitori di Rosa firmavano i contratti con una croce. Era appena passato il giorno di San Giorgio, patrono dei lattai, e Rosa aveva visto come suo padre aveva siglato la vendita del latte di dieci vacche al lattaio del paese: una stretta di mano e una pacca sulla spalla, poi una croce su un grosso foglio.
Cominciò a sognare anche lei: come sarebbe stata la sua vita se avesse imparato, non dico a scrivere, ma almeno a leggere? Avrebbe potuto leggere delle storie ai figli che avrebbero avuto, avrebbe potuto cercare delle poesie e filastrocche, ché le piaceva tanto quando le raccontava il cantastorie girovago che una volta all’anno arrivava in cascina.