Le onde si infrangevano contro la scogliera nera creando spruzzi di bianco che tornavano al mare, striando il verde profondo delle acque inquiete.
Il cielo era carico di nuvole, ma alcuni raggi di sole trapelavano facendosi spazio e regalando pennellate di blu. Presto il tempo sarebbe migliorato.
Dall’alto della scogliera, si poteva vedere la brughiera correre piatta, bruna di arbusti e rosata d’erica.
In lontananza si stagliava la fattoria dei Fincher, una casa bianca e bassa le cui finestre erano ingentilite da imposte colorate di verde oliva. Intorno, cespugli di lavanda delimitavano il frutteto e l’orto. Poco distante, l’essiccatoio per il pesce, il pollaio e l’ovile che in quel momento era vuoto. Se si allungava lo sguardo, si potevano vedere le macchie bianche delle pecore cariche di lana.
La casa dei Fincher era composta da grandi vani, una cucina molto attrezzata, camere luminose dal soffitto rigato di travi, e soprattutto il salotto, la stanza meno frequentata dai Fincher, ma dove risiedevano le nostre tre amiche. Nessuno avrebbe potuto dire né il perché e nemmeno da quanto fossero lì. Di fatto stavano tutto il tempo a chiacchierare amabilmente.
A guardarle da lontano, erano simili e diverse al tempo stesso. Rotondette tutte e tre, davano l’impressione di querule sorelle, ma mentre una aveva la pelle rossa come un’irlandese scottata dal sole africano, le altre due erano piuttosto chiare. Miss Golden aveva quasi il colore del miele, forse grazie alla lunga permanenza all’aria aperta, giacché quell’estate era stata assai clemente rispetto al solito. Miss Smith, invece, era la più bruttina, per via del profilo incerto e della pelle tendente al verde, come soffrisse di quella malattia chiamata clorosi. Era anche la più anziana e si dava delle arie da gran regina, tant’è che le altre due, di nascosto, la chiamavano Granny[1].
A un artista, potevano sembrare un quadro di Caravaggio.
Come già detto, le tre passavano buona parte del tempo a conversare di ogni futilità, raggiungendo considerazioni profonde sul tempo, sulle fioriture o sulle vicissitudini della famiglia Fincher, formata da papà Fincher, mamma Fincher, piccolo Fincher, gatto Fincher e cane Fincher.
Quel giorno, però, anziché la solita cordiale atmosfera, tra le tre aleggiava una sorta di nervosismo.
«Oh! Cielo! Si può sapere cosa le è successo?», chiese Miss Smith all’amica vicina che se ne stava adagiata in una strana posizione, un po’ di sghimbescio.
«È che ieri sono caduta, e ora guardi…», rispose ella mostrando il fianco acciaccato.
«Oh! Mio Dio, che ematoma! Si sta facendo marrone», disse con voce preoccupata Miss Golden, che stava dall’altra parte, di fianco della dolorante amica.
«Già, colpa del piccolo Fincher. Stava giocando con cane Fincher, proprio qui davanti, e accidentalmente mi ha colpito. Io sono stata presa alla sprovvista e sono caduta rotolando come un sasso sul pavimento».
Le due amiche guardarono Miss Stark quasi con orrore, lei non se ne accorse e continuò: «Sì, mamma Fincher lo ha sgridato. Io non sapevo che dire. Mi hanno subito aiutato, adagiato come adesso, ma il dolore, quello, non passa. Continua a pungere ed è come se si allargasse di minuto in minuto. Sto impazzendo, credetemi», sospirò con la voce che andava via via strozzandosi.
«Le credo eccome», rispose Miss Golden, «a guardare bene, sembra che quel morello, quel livido, s’ingrandisca a vista d’occhio. È duro?».
«Macchè, a tastarlo, se non mi facesse così male, è tutto molle. Forse mi sono rotta qualcosa», rispose Miss Stark con la voce tremolante.
Le altre si guardarono di sbieco, cercando di non farsi notare dalla poverina, che ora stava piangendo. Nei loro sospiri trapelava una certa ansietà e preoccupazione. Più inquietudine che apprensione: in verità il fianco era davvero brutto a vedersi e starne vicino causava una certa angoscia. In ogni caso, decisero di troncare la conversazione per un po’, così da lasciare che l’amica potesse riprendersi.
Il sole avanzava nella cucina, come strusciando sul pavimento. Il cielo si era definitivamente aperto e dalle finestre spalancate alcune mosche erano entrate infastidendo i presenti. Soprattutto le tre amiche.
Faceva ancora caldo, malgrado fosse settembre inoltrato. L’odore dei fiori d’erica invadeva le stanze della grande casa, talvolta mischiandosi a zaffate di salsedine e di pesce seccato al sole .
Miss Smith ruppe il silenzio chiedendo: «Sta meglio ora, cara?».
«Non molto, anzi, per niente, ma non voglio passare il pomeriggio a piangermi addosso. Voi, piuttosto, come state?»
«Io ho un leggero bruciore dentro. È da due giorni… ma non ho voluto tediarvi con questa cosa. Magari vi sareste preoccupate», rispose Miss Smith.
Le altre due parvero sobbalzare. Miss Golden chiese con un filo di voce teso, il tono di chi è a un passo dallo scatto d’ira: «Scusi? Sta male da due giorni e non ci ha detto niente?»
«L’ho detto, non volevo preoccuparvi. non sarà nulla, che dite?», chiese alle amiche con una vena d’ansia nella voce.
Miss Golden cercò di recuperare la calma e disse: «Si sa che certi disturbi non vanno mai sottovalutati. Conoscevo una vicina… anche lei aveva iniziato a soffrire di bruciori. Ebbene, da un giorno all’altro non l’ho più vista. Mai più vista. Chissà che fine avrà fatto, la poverina».
«Ne ho sentito parlare, di questo fatto. Anche i Fincher ne discutevano. Sembrava quasi un problema nazionale. Si trattava di Miss Red, vero?», disse Miss Stark la cui voce non aveva perso il tono di sofferenza.
«Miss Red, certo. Me la ricordo. Non è accaduto molto tempo fa, no?», aggiunse Miss Smith con la voce incerta per via del suo strano malessere.
«Non sapevo la conoscesse. Sì, sarà stato un paio di settimane. Eppure a vederla, non avreste mai detto che la sua malattia fosse a uno stadio così avanzato», sospirò Miss Golden.
Il silenzio tornò tra le amiche, ma era così carico di tensione che nemmeno i sospiri aiutavano ad annacquare l’angustia.
Fu la volta di Miss Stark, a rompere il silenzio, dopo essersi scambiata una lunga occhiata con Miss Golden: «Ho sentito papà Fincher dire che era una cosa contagiosa. Quella di Miss Red, intendo. E ha aggiunto che non era un tumore qualsiasi, ma una roba che ti scava dentro, esce e attacca chiunque si trovi a tiro! Per questo era preoccupato».
Le tre amiche rabbrividirono, di nuovo stettero in silenzio per qualche istante, poi Miss Smith prese la parola: «Certo, il mio non è che un leggero bruciore, non ne farei un caso nazionale. Miss Red, invece, aveva qualcosa di molto grave. Credo di aver sentito parlare di una malattia, la dracunculosi, che in realtà è una specie di verme che ti entra e inizia a mangiarsi tutto quello che trova. Se sei fortunato, esce da un fianco senza aver intaccato organi vitali».
«Sì, chissà che brutto. In passato, chi soffriva di dracunculosi, si vedeva un verme nero spuntare dalla pelle. A quel punto, con molta calma, prendeva un bastoncino e iniziava ad avvolgerlo poco per volta, giorno per giorno, fin quando non era uscito del tutto. Guai se si fosse spezzato», raccontò Miss Stark, cercando di non mostrare troppo il proprio fianco ammaccato.
Tra tutte e tre, in verità, la più malmessa era proprio Miss Golden, la quale cercava di non mostrare le evidenti rughe che solcavano la sua pelle, sino a poco tempo prima lucida e soda.
Improvvisamente le amiche ebbero un moto di spavento, un sussulto e tacquero perché in sala era entrata mamma Fincher. Lei varcava quella soglia raramente, solo per spolverare o cacciare via gatto Fincher, che grattava il divano in damascato rosso.
Mamma Fincher si diresse verso il tavolo rotondo, stile Chippendale, che impreziosiva la stanza e ne prelevò il vassoio per la frutta, portandolo in cucina.
Controllò il contenuto, e vide che le tre mele erano ormai bacate. Sospirò e si diresse verso la scogliera, attraversando la brughiera. Non avrebbe saputo dire perché non aveva gettato quella frutta nel pollaio, come faceva di solito. Forse le era spiaciuto vedere quelle tre belle mele ammalarsi e vizzire.
Forse si era figurata che la vita fosse un po’ così.
Di fatto, le lanciò al vento mormorando: «Addio».
[1] Nonna