Sfilo lo giacca la butto sulla sedia, appoggio la borsa e resto qualche minuto nell’angolo scuro del soggiorno: ti guardo rimestare una pietanza che sobbolle nella pentola.
Cosa ci faccio qui come una ladra, non voglio altro che scappar via!
Spegni il fornello, metti il coperchio, vieni a salutarmi “Ciao Mara, non ti aspettavo tanto presto, niente straordinari questa sera?”. Adesso dico il suo nome che non mi da pace gli dico che non mi sono mai sentita così viva prima di lui che con lui ho incontrato la donna meravigliosa che sono che è uno strazio separarci quando stiamo insieme.
Adesso glielo dico che sono qui pesche’ lui mi ha dato buca “Un imprevisto“ . SMS sul cellulare. “Non cercarmi chiamerò”.
Intanto stappi un prosecco, versi il vino mi offri il calice prendi il tuo, ti seguo in terrazza. “ Sei bella, sai, come non ti vedevo da tempo”. Distolgo lo guardo, cerco le luci che calmano il buio al cielo.
Voci di ragazzi allegri accompagnano una leggera brezza avvolgente: porta con se il tepore della primavera e carezza l’inverno per allontanarlo.
La stessa brezza che ho visto oggi sconvolgere le giovani foglie di un Prunus, stuzzicarmi con il suo profumo intenso e sospingermi da te.
Un brivido mi corre lungo la schiena un senso di eccitazione, terrore, forse tenerezza. Sei bello così affaccendato in cucina con la t shirt attillata e i capelli lunghi, li noto solo ora, ti vengo vicino ti tolgo la frutta dalle mani ti abbraccio.
Adesso te lo dico che ho bisogno di te che non devi lasciare sola che ti voglio bene che… non c’è niente di male se mi sono innamorata…passerà. Ti bacio, sai di ananas e per un istante del nostro sapore ritrovato, ti bacio ti stingo ti bacio. Mi restituisci uno sguardo stupito mentre mi slacci la camicetta e io ti bacio ancora e ti voglio Luca. Prima che questa brezza svanisca per sempre.
Quanti passi
Mi sembra ieri che sono partita
carica di dubbi che son già certezze
di silenzi frantumati nel fragore dei vetri.
Un fagotto sulle spalle
per non sentire il peso dei giorni
troppo uguali
e fino all’uscio le urla di mia madre
” Ti perderai.”
Ho camminato passi persi
in spazi di illusioni,
contro me stessa vigili,
attenti sull’orlo dei baratri.
Passi nudi mescolati alla terra:
germogli ancorati a tenaci radici.
Passi folli sospinti dal tumulto del cuore:
danze nuove instabili equilibri.
Ora pesa sempre più questo fagotto
fatto liso dal dolore che consuma
ognuno dentro,
mentre un passo dopo l’altro spontaneamente avanzo.
Perchè io do che al di la c’è un oltre.
Il mio oltre mi attende.
Masca
No! Non ballo con l’angelo io.
non mi lascia piume bianche
ne mi sento più leggera poi.
Io ballo con un demone.
No! Non ballo con un demone
io danzo con un demonio
che mi prende quale fossi
sua stessa fiamma
e riarsa brace mi possiede
in incavo di quercia,
da ogni affetto mi allontana
insieme ad ogni ombra
mi fa sua sposa
marchiata sul petto a lettere scarlatte:
LA SORDA!
Soldato
La città nemica è uguale a Milano
c’è un parco nel centro
e nel parco un albero ricurvo
sulle panchine
ha la pelle tatuata
come hanno i ragazzi
che incidono le iniziali
e gli dicono le loro idee.
Proprio ieri l’albero schiudeva le gemme
all’azzurro puro.
Parola d’ordine non guardare!
Un elmo mi nasconde dalla città nemica.
Parola d’ordine non ascoltare!
Rombi nello strazio di aria violata.
Ti ripongo nel mio petto Madre
come pugnale nel mio cuore
proprio ieri partivo soldato.
Sulla Terra stuprata le impronte delle mie ginocchia.
Attimo
Il cielo si apre
in uno dei suoi
orizzonti più azzurri
raggi pennellano cirri scarmigliati
che s’involano verso oriente,
questo basta a perdonare la pioggia
che mi ritorna il sentore di terra bagnata
e del suo seme.
Scaramanzia
Dentro al tondo
di un catino ci sciacquavi
le verdure
con le mani
e le brutture
alla luce
del mattino
ci leggevi
anche il destino
galleggiava la buona sorte
giù in fondo resta la morte!
Rigirata l’acqua poi
la versavi
nel giardino
per nutrire frutti e fiori
e buttare via i dolori.
Acqua benedicta
L’acqua si rispettava. Il nonno la raccoglieva piovana dentro grandi botti collocate in cortile.
Con lei si veniva a patti sempre: le verdure lavate nell’orto e l’acqua ritornava alla terra.
Al mattino la faccia lavata con l’acqua pulita nella bacinella in ceramica bianca, poi si versava in giardino per i fiori. L’ acqua calda della pasta per lavare i piatti, mani e piedini risciacquati prima di rincasare con la canna sopra i cetrioli che hanno sempre sete.
Santa in un ampolla e conservata in un luogo segreto che solo la nonna sapeva: con quest’ acqua benediva segnando una piccola croce sulle fronti mentre pregava. Noi bambine capivamo così che accadeva qualcosa di straordinario e avevamo bisogno dell’aiuto divino. Ho lavorato per un periodo presso un rinomato magazzino tessile a Milano e mi sono scontrata con responsabile e colleghe perché facevano scorrere l’acqua durante tutta la giornata per averla fresca, chiudevo il rubinetto, ma loro mi prendevano in giro: ” Sei proprio una paesanella” dicevano. Io soffrivo nel vederla scorrere nel lavandino così invano, inerme.
.
Chiarezza
Ce l’ ha fatta il fiume
quest’oggi in ardore d’0nda
a spazzar via
la crosta di fronde
e cose morte
che da giorni sostava
tra esili mani di salice.
La punta di un piede nell’acque
allontana le ultime foglie
che mulinellano sparse
morde la corrente tanto ha fretta.
Squarcio improvviso
brividi di cielo versato in terra.
Si libera nell’aria
il profumo di mughetti
ricamato sulle lenzuola
stese al sole.
Il ponte delle sirene
La stradina costeggiata da rogge si snoda in una serie di curve strette, fiancheggia la campagna coltivata e lentamente unisce Mediglia a San Giuliano.
Poco trafficata è la strada che ho frequentato più di tutte perché da bambina si andava dalla nonna a bordo della Cinquecento azzurra guidata da mio padre e da adulta per raggiungere il centro commerciale in cui ho lavorato dieci anni come ottica e vetrinista.
Circa a metà del suo percorso la stradina sovrasta con un ponte il fiume che mi affascina da sempre. Specialmente in inverno quando i campi freddi biancheggiano per la neve o la brina, il Lambro sembra trascinare più cupo che mai il suo carico d’acqua e di segreti mentre avvolto da una bruma opalescente scorre imperturbabile verso il suo mare.
Occasionali gabbiani o cormorani ne sorvolano le onde, non ho mai visto pescatori lungo le sue rive solitarie. Da piccola ogni volta che passavo sul ponte in auto abbassavo il finestrino e guardavo giù per vedere meglio che potevo, ma niente traspariva dal fondo nero e denso.
Una volta vidi una spessa coltre di schiuma bianca serpeggiare sul Lambro, rimasi incantata: «Papà guarda che bello il fiume stamattina».
«A volte le Sirene arrivano anche qui per fare il bagno e lasciano la loro scia insaponata».
«E come si fa a vedere le Sirene papà, sai quando faranno il bagno la prossima volta?» gli chiesi.
174Le Sirene si bagnano alle prime luci dell’alba per tingere le loro code nell’ acque argentate», mi rispose sorridente.
Da allora quando passo sul ponte delle Sirene penso sia un luogo magico e chissà… di incontrarne una prima o poi.
Poesia di strada
Salti giù da una Citroen verde
sbatti lo sportello quasi
fari, sibilo si gomme
sbuffo di smog sull’asfalto rovente
con te ha finito.
Sistemi la gonna sui fianchi
il piercing è sole sul ventre liscio,
sei una bambola dal cuore in ceppi.
Le sneakers bianche si fanno spazio
tra lattine, clinex, qualche straccio.
C’è una sedia rotta più in là
per farti regina sei un nuovo acquisto:
soldi contanti.
Siedi, incroci le gambe da gazzella
la bocca è un cuoricino.
Tra cipria e polvere
vorresti raschiare via da dosso gli sguardi
che ti frugano sotto la maglietta
dentro le mutandine.
Intanto passi una mano nel caschetto
castano dei tuoi capelli è imbarazzante tanto sei bella.
Mi lanci un’occhiata dall’altra parte della strada.
Distolgo gli occhi ti lascio sola
ho una figlia della tua età a casa io!
Un’auto rallenta
lui abbassa il finestrino
tu metti il broncio
fai come una bimba che dice NO!
Lui ti annusa hai odore di bestiola
È così che ti vuole
ancora tiepida e dischiusa.