La mia città preferita

Questa volta il nero non mi ha portato fortuna: ho perso subito i pezzi più importanti, accecata da una furia di conquista che mi ha fatto dimenticare di tener d’occhio i pedoni dell’avversario. Una volta cadute le due torri, la partita era praticamente conclusa.

Mi resta la soddisfazione del tavolino da scacchi trovato stamattina con Jens al mercatino del municipio di Schoeneberg, quello del famoso discorso di JFK del 1964; un tavolino così era un mio sogno da diversi anni.

Spero che tra poco, dopo un pranzo ristoratore, ci scappi un piccolo concertino alla chitarra con canzoni che conosco anch’io.

 

Vivo a Berlino da sei mesi, dopo aver fatto avanti e indietro per 10 anni. E’ stata una storia d’amore fin dall’inizio, una città dove mi sono subito sentita a casa.

Tutto iniziò con la conferenza Servas tedesca a cui fui invitata perché parlavo la lingua. Dovendo decidere presso quali soci pernottare, decisi di chiedere ospitalità a Petra e Uri (“Petra non è una complicata” mi aveva detto Connie, la Segretaria Nazionale, ed era vero) ; poche ore dopo aver conosciuto Petra avevo deciso che era stato il mio angelo custode, mia mamma, a farmi incontrare quella donna straordinaria.

 

Per età poteva essermi madre, ma aveva l’entusiasmo e l’agilità di una ragazzina. Quando cerca qualcosa negli armadietti della cucina, ancora oggi si siede per terra a gambe larghe, tipo Pippi Calzelunghe, e comincia a rovistare, mi fa morire dal ridere.

E’ molto attenta ad ogni cosa che dici, ascolta assorta, partecipa con tutto il suo essere e fa domande acute e pertinenti. Usa la lingua in modo giocoso e arguto, piegandola ai suoi capricci e facendole fare volteggi acrobatici, una specie di Oscar Wilde in gonnella. E’ una donna colta e brillante, stranamente dotata di un complesso di non-essere-mai-abbastanza.

 

Abito poco lontano da lei, nella via più lunga di Berlino nel quartiere di Charlottenburg, in un grande appartamento al pianterreno di un palazzo azzurro e bianco di quattro piani sotto la protezione del Dipartimento delle Belle Arti. Ho avuto fortuna perché una ricca vedova sempre in giro per il mondo aveva bisogno di qualcuno che le curasse la casa e le bagnasse le piante, in cambio posso abitare qui a costo zero.

Sulla facciata c’è un bovindo schermato da tende leggere che dà sul doppio soggiorno, un tempo il locale destinato agli uomini, poi quello meno luminoso destinato alle donne, quindi un lungo corridoio di 9 metri con porte sui lati conduce rispettivamente a una camera-ripostiglio, a una cucina, al bagno e alla camera da letto. Io mi sono sistemata sul divano-letto in soggiorno, accanto al Ficus Benjamin, alla Kenzia e alla Sansevieria che curo come delle figlie.

 

Il palazzo ha un androne molto signorile, anche se manca di ascensore e questo per gli altri inquilini è un problema. Per me no, anzi, io sono ben contenta di abitare al pianterreno perché così le mie bambine hanno accesso al giardino sul retro. Il giardino è in condivisione, ma va bene lo stesso. E’ chiuso e così non rischiano di venire investite dalle auto.

 

Ogni mercoledì ci incontriamo a turno a casa dei membri della Società Teosofica. Quando ospito io indirizziamo i nostri sforzi verso un volontario allontanamento della famiglia Thamm al pianterreno, in modo che liberi gli altri condomini dal suo opprimente ostruzionismo in sede di assemblea condominiale. Se riesco nell’intento, il premio è un viaggio un Provenza, mi ha assicurato la proprietaria dell’appartamento.

 

Il palazzo è tranquillo, popolato prevalentemente da anziani professionisti. Con due appartamenti per piano, raramente si incontra qualcuno. Il luogo di aggregazione principale è il locale smaltimento rifiuti, dove ho fatto la conoscenza della maggior parte dei condòmini, che tra un bidone troppo pieno o un rifiuto mal riposto si lasciano andare a qualche confidenza che apre la porta alla conversazione. Durante uno di questi ameni incontri ho fatto la conoscenza di un distinto signore del terzo piano, che studia da anni l’italiano ed è appassionato di cucina. Sembra che il suo piatto forte sia la salsa di pomodoro all’aglio che non vede l’ora di farmi provare ed io non ho cuore di rivelargli che da noi, insomma, non è tenuta in grande considerazione. Sì, perché qui bisogna stare attenti: basta una piccola critica e subito ti guardano storto.

A me non piacciono parecchie spezie qui molto usate, ora passo per una persona difficile. E sì che sono solo:

– anice

– cumino

– coriandolo

– curry (non la curcuma, proprio il misto di spezie per il curry)

– aneto fetido (beh, già il nome…)

– liquirizia

– cannella

– assenzio

– senape

– semi di finocchio

 

 

La vetrina

Era una giornata dal cielo terso nella mia bella città d’adozione: Berlino mi stordiva già con il frastuono del traffico. Come ogni mattina mi affrettavo a raggiungere il posto di lavoro con passo incalzante: temevo il solito ritardo. Il mio sguardo si volse distrattamente oltre la vetrina di un caffè. Un giovanotto seduto su uno sgabello aveva un’aria dimessa e triste. Stavo quasi rallentando il passo con l’intento di entrare nel bar per chiedergli cosa mai potesse essergli accaduto… Ma accidenti, mi accorsi che era tardi e allora non mi fermai.
Fuori dal caffè una ragazza si toccava i lunghi capelli setosi, piangendo. Forse conosceva il giovanotto triste.
Ancora una volta fui sul punto di fermarmi per cercare di aiutarli. Ero convinta che si conoscessero e che fossero in crisi. Avrei fatto qualsiasi cosa per riavvicinarli… questo avrebbe rasserenato anche la mia giornata.
L’orologio segnava le otto e mezza! Corsi a perdifiato per evitare il semaforo rosso e arrivai in ufficio in ritardo. Se avessi raccontato al capufficio dei due ragazzi forse non si sarebbe infuriato; invece passai un brutto quarto d’ora.

Gli starnuti di Antonio

Mi chiamo Antonio. Sono single non per mia scelta. Ho raggiunto la soglia dei cinquant’anni. Sono un bell’uomo con capelli brizzolati e riccioluti.
Colleziono collari per cani di piccola taglia che raccolgo in una teca in bella vista nella sala da pranzo. Alcuni sono impreziositi con pietre e gemme luccicanti.
Ho sempre sognato un piccolo cagnolino da coccolare, ma ero un camionista e il mio lavoro non mi ha mai consentito di averne uno. Per consolarmi, nel periodo estivo aiutavo Gianni, un mio amico, nel suo negozio di toilette per cani.
Un bel giorno Gianni mi propose di entrare in società con lui. Accettai di buon grado. Ero al settimo cielo! Ero entusiasta di avere lasciato quel mostro di camion, che non faceva altro che macinare chilometri e chilometri di asfalto con me, rendendo le giornate rumorose e solitarie.
Era bello alzarsi di mattina presto per dedicarsi alle piccole cose quotidiane e poi correre dalle creaturine che mi aspettavano, perché sapevano che le avrei dispensate di coccole.
Da quando mi misi in società con Gianni, non passarono molti giorni che mi scoppiò un fortissimo raffreddore. Quanti starnuti! Non ci crederete, ma era il primo raffreddore della mia vita! Presi delle pastiglie per farmelo passare, perché mai e poi mai avrei potuto pensare di mancare un giorno dalle mie adorate bestioline. Peggioravo sempre più, finché non mi decisi di consultare un medico. Indovinate qual era la diagnosi, che per me era quasi una sentenza di morte? “Allergia al pelo del cane”!

Il rigattiere dei sogni

Un giorno, nella casetta di campagna del mio paesello d’origine, decisi di riordinare la soffitta e di mettere da parte alcune cose che avrei portato a Giovannino il rigattiere. Così lo chiamavano in paese. Era un tenero e simpatico ometto che, tra una pedalata e l’altra, guidava un triciclo carico di carabattole da portare al mercato della domenica, racimolando qualche moneta per arrotondare lo stipendio.

Era un’impresa assai ardua pensare di entrare in quella soffitta dimenticata, piena di ragnatele… e chissà, tra un baule e l’altro avrei trovato delle pantegane morte, ragni stecchiti… al solo pensiero rabbrividivo.

Infilai un paio di guanti e una mascherina, un paio di pantaloni consunti di mio marito che puzzavano d’erba appena tagliata, e mi misi all’opera.

Con mia grande sorpresa, accanto a grossi bauli c’era una cassettiera colorata e un po’ naïf, forse ereditata da mia zia Ginny, un tipo originale. Ero curiosa di scoprire cosa ci fosse in quei sette cassetti, ma avevo il terrore di trovare uno di quei pipistrelli che una sera si era intrappolato tra i capelli di mia zia. Mi feci coraggio e aprii il primo cassetto dove c’era un quaderno sgualcito e ingiallito, la cui copertina riportava questo titolo: “Il libro dei sogni”. Lo sfogliai e, con mia grande sorpresa, constatai che non c’era scritto proprio nulla… completamente vuoto!

Pensando al passato provai una sottile nostalgia che subito si trasformò in un desiderio irrefrenabile di aprire gli altri cassetti. Avrei ripercorso la mia vita con gli oggetti che avrei ritrovato.

Faticai ad aprire il secondo cassetto che si era incastrato. Insistetti finché non riuscii ad aprirlo. Conteneva una scatola impolverata sulla quale c’era scritto: “Aprimi per scoprire la direzione da prendere nella vita”. Era una bussola. L’avevo acquistata al mercatino delle pulci di Parigi.

Nel terzo cassetto c’era un album di fotografie. C’era scritto: “Noi ti abbiamo accompagnato nel tuo passato”.  Lo sfogliai e mi commossi rivedendo i miei nonni che non ci sono più. In un’altra pagina dell’album i miei genitori sorridenti tenevano in braccio una bambina: ero io! E come erano giovani e belli la mamma e il papà! Sparpagliati nel cassetto, fuori dall’album, c’erano le foto di amici e colleghi di lavoro… Quanti ricordi! C’erano anche tante foto delle Dolomiti, dove adoravo trascorrere le vacanze estive e le settimane bianche prima con gli amici, poi col mio fidanzato, ora mio marito.

Nel quarto cassetto c’erano le mie poesie giovanili che avevo cercato per mare e terra, e dov’erano finiti? Qui, in soffitta!

Nel quinto cassetto c’erano parecchie medaglie che avevo vinto da ragazzina, quando mi cimentavo nelle corse campestri. Una in particolare, portava un’incisione con il numero cinque (perché ero arrivata al quinto posto) nella mia prima competizione, nella quale aveva partecipato tutta la scuola. Ma mi era costato caro questo quinto posto! Mia mamma, a pranzo, non immaginando quello che mi sarebbe capitato, mi cucinò polenta e brasato e, senza concedere tempo al mio stomaco per digerire il tutto, andai dritta al campo dove si svolgeva la gara e, ahimè, poco prima del traguardo, anche il terreno condivise in qualche modo la mia polenta con brasato.

Nel sesto cassetto c’era Andrea, il mio primo bambolotto col profumo di gomma della Furga! I miei genitori me lo regalarono per Natale, quando avevo sei anni. Mia mamma aveva racimolato pazientemente le seimila lire per comprarmelo.

Finalmente arrivò il momento di aprire l’ultimo cassetto… C’era un odore nauseabondo di muffa. Con i guanti tolsi la polvere e scoprii degli spartiti musicali: pezzi per coro e orchestra, vecchie canzoni del Festival di Sanremo, di cui non perdevo nessuna edizione. Andavo in edicola a comprare i testi delle canzoni, in quei libretti col casinò in copertina. Ora è giunto il momento di tirare fuori da questo cassetto il sogno mai realizzato e togliere la muffa.

Raccolsi tutto il materiale con cura e lo misi in un baule, un ricordo di mia nonna.  Caricai la cassettiera nell’auto e la portai da Giovannino. Sicuramente qualcuno la riempirà di sogni, sperando che non facciano la muffa.

Il giorno dopo mi presentai alla segreteria di una scuola musicale per iscrivermi a un corso di canto. Ero circondata da ventenni che mi guardavano incuriositi. Anch’io mi sentivo come loro, perché le passioni non hanno età.

Se Joseph Biden, se Vladimir Putin e se Dio (che è anche amico mio)

Se Joseph Biden
presidente americano, abile Tamerlano
premesse “quel” bottone… che estrema devastazione!

Se Vladimir Putin
leader sovietico, dittatore politico
sganciasse “quella” bomba… che sepolcrale tomba!

Ma se Dio
(che è anche amico mio)
soffrendo di acufeni, avendone i santissimi pieni
volesse testimoniare chi intende abbandonare
restando AL DI SOPRA di ogni sospetto
potrebbe involarli entrambi… staccandoli dal Suo petto!

28 novembre 2022/Lab 6

 

 

Combattere la nostra povertà d’amore

“La più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore” Papa Francesco

Viviamo in un mondo povero d’amore come ci dice il nostro Papa, ma perché? Non voglio guardare “fuori” ma dentro di me e capire quanto amore sono capace di dare.
Amo tanto, tantissimo la mia famiglia e per ciascuno dei componenti, nipotine comprese, farei di tutto.
Amo i miei amici, sono affezionata ai vicini di casa e sono sempre pronta a dare una mano se qualcuno ha bisogno di aiuto.
Allora, alla luce di queste considerazioni, mi chiedo se sono una persona capace di “amore”: direi di sì, grazie a Dio!
Però se penso ai fratelli immigrati, a coloro che soffrono per le guerre o situazioni drammatiche, come li posso amare? Credo che mi sia difficile donare amore concreto a queste persone ma forse qualcosa posso fare, per esempio seguire attentamente e con partecipazione quello che succede nel mondo, dare contributi economici attraverso le numerose organizzazioni, non per far tacere la mia coscienza, ma con la consapevolezza che è doveroso rendersi presenti, per quanto e come è possibile, alla vita dei fratelli provati dalle circostanze : dilatare il cuore, accogliere tutti e dare concretezza al sogno dell’enciclica FRATELLI TUTTI, far entrare nel cuore “il mondo” nei suoi molteplici bisogni.
Se è facile dire “non posso arrivare a tutti” è altrettanto facile cominciare dal poco che si può e, per me che credo in Dio, oltre al resto, pregare perché c’è Qualcuno che interviene dove l’uomo non può arrivare……Lui chiede solo la nostra fiducia nella Sua Onnipotenza.
Grazie Francesco per questo incipit!!!

GLI ULTIMI

I miei fratelli, gli ultimi

Si sente tanto pronunciare questa parola soprattutto in questo tempo ma………chi sono gli ultimi? Forse le persone poco considerate, poco o per niente capaci di rispondere alle richieste del nostro contesto sociale perché povere, con scarsa cultura, magari senza un lavoro e di conseguenza senza una casa dignitosa.
Sento che il Signore mi chiede di rivolgere la mia attenzione proprio a loro, perché? Se guardo la vita dei santi come per esempio don Bosco, Madre Teresa, san Giuseppe Moscati, per citarne solo alcuni, sono a dir poco ammirata dalla loro dedizione proprio agli ultimi, agli “scartati”. Credo di poter dire che il carisma che accomuna questi santi è l’attenzione, l’amore ai fratelli bisognosi, agli emarginati, ai destinatari della cosiddetta CULTURA DELLO SCARTO
Signore, cambia il mio/nostro sguardo giudicante e severo per renderlo accogliente e misericordioso. Rendimi, rendici capaci di sporcarci le mani, di aprire le porte del nostro cuore per far posto ai nostri fratelli, qualunque sia la loro condizione.
Così sia

I sogni degli angeli

Di cosa sono fatti i sogni degli angeli? Me lo chiedo ogni sera, quando pigramente appoggiata alle piume dorate lascio che la mente vaghi nell’infinito, nutrita dalla brezza fresca dello svolazzar di ali.
Io che non ho più sogni da offrire mi ci avvolgo come un mendicante al suo lacero cappotto alla disperata ricerca di un minimo calore.

I sogni degli angeli sono fatti di tiepida speranza. Tendo le braccia per colmare la distanza e mi proietto in alto fino a toccarli, emanazione di uno spirito sconosciuto, zattera che ci sorregge lungo il naufragio che noi chiamiamo vita.
I sogni degli angeli sanno di pane e zucchero e lasciano nel cuore un sapore dolce che persiste all’alba.
Mi ci aggrappo ancora un po’, prima che il mattino riempia ogni angolo buio e cancelli il mistero.

Something in the water

Avvolta nel profumo Dolce (&G) e nel suo trench verde oliva a pois bianchi, Anastasia sosta davanti all’ingresso del locale “Bar Ber” in cui l’attende un tale sfrontato di nome Otto. Allontana dalla fronte un ciuffo di capelli neri, ricci e ribelli. Osserva la propria immagine specchiata, fiera dei suoi quarant’anni e orgogliosa della snellezza delle proprie forme. Pone la mano sulla maniglia della porta, esita un istante, scuote il capo e sorride divertita. Ha appena letto la scritta BARBER – Salone per uomini – sulle insegne poste ai lati della luminosa vetrina contigua. La denominazione è la stessa del bar in cui sta per entrare. Che ci sia lo zampino del destino? Anche così non fosse, lei rimane dell’idea di fare “barba e capelli” all’uomo che sta per rincontrare.

Lo ricorda abbastanza bene: sulla trentina, alto, biondo, occhi scuri, pieno di charme; un perfetto sconosciuto che si era rivelato un individuo spregevole. Sere prima, in un altro locale pubblico, lui le aveva gentilmente consegnato la borsetta, – dimenticata per un istante su una poltroncina -, dopo averla alleggerita di un porta-banconote colmo di denaro. Lei aveva temuto un infarto, anche se quel che maggiormente l’aveva fatta infuriare era stata la propria sbadataggine. Stizza e disappunto le avevano provocato un battito accelerato del cuore costringendola a trascorrere l’intera notte tra le braccia dell’inquietudine.

Del tutto ignara che quell’uomo l’avesse furtivamente seguita sino all’ingresso del palazzo.

Il mattino successivo, con grande sorpresa, Anastasia preleva dalla cassetta della posta un biglietto con il quale il borseggiatore, di nome Otto, la invita ad incontralo al Bar Ber. Oltre a restituirle il malloppo intende offrirle un caffè. Come credergli? Teme voglia farsi beffe di lei, magari autoassolvendosi, o trarne un sicuro profitto. Dopo aver riflettuto a lungo, decide che vale la pena accertarsi delle reali intenzioni dell’uomo. Intende affrontarlo a testa alta.

Sara questa mattina ha marinato la scuola. Salterà pure le lezioni pomeridiane di musica, nonostante Canto sia la disciplina che più ama al mondo. E’ il dono di natura che possiede; la fa stare bene al punto di aver rivelato alla nonna il sogno di diventare una vera rock star. Oggi però è determinata a scoprire quel che combina sua madre durante l’arco della giornata. In cuor suo è certa di conoscere la sola, semplice, verità. Uscita di casa alla solita ora, trascorre la mattinata bighellonando per le vie della città. Confida nella sorte propizia mentre cerca di individuare Anastasia in qualche negozio elegante, da Mc Donald oppure in biblioteca. In Chiesa no.

Da quando mamma ha perduto l’impiego, e non si è più attivata per cercarne un altro, Sara è parecchio impensierita, quasi in ansia. Va lambiccandosi il cervello a caccia di risposte. Perché non si confida con me? Viviamo sotto lo stesso tetto. La supero in altezza, avrò il diritto di sapere! …se almeno papà fosse ancora con noi! L’ho perduto troppo presto. Mi mancano i suoi sorrisi, le coccole e la complicità! A distanza di anni la sua tangibile assenza mi soffoca il cuore e spesso piango. Succede quando mamma, alcune sere la settimana, si allontana da casa e sparisce per l’intera notte. Questa sua misteriosa vita notturna non mi consente di avere un rapporto sereno e sincero con Fabio, il mio attuale boy friend della terza E, a cui tengo una cifra. Mi piacerebbe presentargli mia madre, ma è proprio una faccenda difficile. Non posso, non me la sento ancora di condividere i sospetti che nutro.  Così mi accontento della rassicurante presenza del mio cane peloso, Pluto, a cui voglio un bene dell’anima. La notte dorme ai piedi del mio letto, mi tiene compagnia proteggendomi.

Seduto a un tavolo del Bar Ber, Otto cerca di liberare la mente con un mantra: sono uno scippatore improvvisato, non un essere disonesto. Desideravo conoscere di persona la signora Anastasia, che mai ha accettato di incontrarmi. Ora, però, è diventato urgente conversare circa il talento naturale di cui è dotata sua figlia Sara, i progressi fatti e il futuro che le attende. Dall’inizio di quest’anno, su richiesta di Fiorella l’insegnante di Canto, sto offrendo gratuitamente lezioni di Pianoforte alla ragazzina ed ho imparato a conoscerla.

Messo alle strette da un promoter che mi ha contattato per conto di un produttore discografico, ho convinto Silvana – un’amica di lunga data di Anastasia, la cui figlia Ginevra frequenta lo stesso corso di musica -, a darmi una mano. Lei ha escogitato un piano per “costringere” l’amica ad un incontro. Da tempo ero stato messo bene al corrente che tipo di donna mi sarei trovato davanti: affascinante, determinata, piena di fiducia in sé stessa e in grado di reinventarsi. Ho saputo infatti che, dopo aver perso il lavoro da impiegata, si era trasformata in un’avventurosa, alquanto fortunata, giocatrice di poker.   Silvana aveva abbandonato sulla poltroncina accanto a me la borsetta di Anastasia. Vi avevo nascostamente introdotto la mano afferrando quel portafoglio rigonfio, consapevole di commettere un reato. Soltanto restituendolo potrò comunicarle la meravigliosa novità che ho in serbo, ottenendo così la sua assoluzione.

“Mammaaa!” Sara dall’esterno ha individuato la sagoma della madre seduta di fronte al maestro di pianoforte. Entrata nel bar come un proiettile, le dita strette a pugno, il viso stravolto dal livore, le si catapulta addosso con aggressività.

“Mi fai schifo – urla – è così che passi le tue giornate! Non ti basta venderti la notte?” ha alzato le braccia intenzionata a colpire. Otto spalanca gli occhi, deglutisce e indietreggia con la sedia. Anastasia, calma e imperturbabile, para il colpo e blocca con fermezza le braccia della figlia. Si alza in piedi, le sfila lo zaino dalle spalle costringendola ad abbracciarla. Sara si abbandona al pianto e al calore del corpo della madre che la stringe forte a sé, soffocandola di baci.

“Dai Sara, sali in macchina, veloce. Non vorrai arrivare in ritardo proprio oggi!”

“Non sono mica matta. Vai mamma, sgomma!”.

“A me sembra troppo bello per essere vero! Il signor Otto è un maestro davvero in gamba ed ha un bel carattere. E’ sicuro di sé quando parla del tuo innato talento. Chissà con quanta convinzione ha presentato un tuo demo alla casa discografica! Ti hanno immediatamente invitata ad incidere la cover di “Something in the water”, la canzone che ami di più. Sono troppo felice.”

“Mamma, io sono elettrizzata. Il mio sogno sta per avverarsi. Sono contenta che tu sia orgogliosa e, visto che sono più alta di te, considerami pure un’adulta.”

“Certo che sì!”

“Se avrò successo diventerò famosa come Lady Gaga. Forse guadagnerò quanto te con il gioco ai tavoli del poker, vedrai. Ho già telefonato alla nonna per dirle di tenersi pronta che presto apparirò in tivù. Morirà dalla gioia.”

Entrambe ridono a pieni polmoni. Sara si applaude con convinzione.

 “Mamma, ti farebbe piacere se adesso cantassi?”

Anastasia posa teneramente una mano sul capo della figlia e le invia un sonoro bacio: “Moltissimo, Lady Sara.”

La quindicenne modula la sua gradevolissima limpida voce per cantare le parole della canzone che rispecchiano fedelmente il suo stato d’animo: “I’ve got halo’s made of summer, rhythms made of spring. …give me long days in the sun, prelude to the nights to come…”*

 

*Ho un’aura fatta d’estate ed il ritmo fatto di primavera…dammi lunghe giornate al sole, che portano alle notti che vengono…

N.B.

“Bar Ber” e “BARBER “esistono davvero; li ho scovati in una ridente cittadina della bassa Valtellina.

P.S.

Ad Annalisa, Adele, Graziella, Vittoria e Panty devo un GRAZIE speciale per avermi supportato, e sopportato pazientemente, in questo lungo periodo buio in cui rigettavo l’idea di tornare a scrivere almeno ad un livello discreto, come una “scrittrice per caso”, quale sono.

 

 

 

28 Ottobre 2022/Lab 2

 

RAGNATELA

Stamattina guardandomi allo specchio ho visto tante rughe che, come una ragnatela, avvolge il mio viso.  Sono passati tanti anni; eppure, una lucetta continua a brillare nei miei occhi e la riconosco, è la stessa che illuminava lo sguardo della ragazzetta che correva a perdifiato per le campagne, che rincorreva gli animali da cortile e sbuffava annoiata davanti agli esercizi di matematica che avrebbe detestato per tutta la vita.  La ribellione alle regole,  soprattutto quella che negava alle femmine di indossare i pantaloni, insomma uno spirito anarchico.

Tanta vita, tante esperienze, l’amore per babbo “bello”, il dolore per la perdita della mamma.  La nascita di due bimbette dispettose dalle gambette veloci che, ancora oggi  corrono incontro alla vita con quel sorriso birbante e le gote arrossate dalla ricerca affannosa di sé.

Tanti momenti felici, le risate con mia sorella, l’emozione di diventare zia e poi prozia, la sorellanza con le amiche più intime, i viaggi la gratificazione nel raggiungimento degli obiettivi.

Non sono mancati momenti difficili,  gli insuccessi,  le sofferenze degli ammalati nei reparti d’ospedale,  la morte delle persone care, le ingiustizie sociali, la politica inadeguata.  Ecco come cammin cammino sono arrivate le rughe, odiosa ragnatela, vorrei strapparti con un veloce gesto della mano ma sei stampata sulla mia faccia ed è lì che rimani, come a dire che la vita non è stata immobile ma percorsa da tante vicende, tutte impresse sul mio volto.

 

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