Tag occhio

Angelo

Sono nata una sera di maggio in Sicilia quando le zagare profumavano l’aria.
Vivevo insieme alla mia mamma e ai miei fratelli in una scatola di cartone a bordo strada, dove passavano molte auto. Mi sono ammalata presto. Mia mamma non aveva latte a sufficienza e tempo per scaldarci tutti. Ci sono state notti fredde, ho preso il raffreddore. Tutti l’avevamo.
Un giorno mi ha raccolto una signora. Mi ha dato da mangiare una cosa umida e buona che non era latte. Mi ha curato il raffreddore, che nel frattempo era risalito dal naso e mi aveva infettato l’occhio. L’occhio non è tornato come prima, ma il naso sì.
Poi la signora ha preso dalla strada anche mia mamma, così potevamo stare insieme. Dopo qualche giorno ci ha raggiunte anche mia sorella. Oh, la gioia di giocare tutte e tre assieme, di nuovo una famiglia! Di notte ci stringevamo l’una all’altra e ci addormentavamo coi musi vicini. Beatitudine!
La signora era brava, ci dava da mangiare cose buone, ci accarezzava, aveva un bel gabinetto che puliva regolarmente. Aveva una figlia un po’ rumorosa però. La bambina giocava spesso con noi, io mi divertivo molto con la lenza.
Siamo stati con la famiglia della signora per parecchio tempo. Faceva caldo, si stava bene, i pasti erano abbondanti.
Poi, ai primi freddi, mia sorella è sparita. Io ero triste, ma per fortuna c’era mia mamma che mi leccava e mi consolava.
Un pomeriggio, la signora mi ha messo in un trasportino e mi ha portato in una strada rumorosa. Io avevo paura. Si è fermato un grosso camion e mi hanno messo lì dentro. C’erano tanti scomparti, in ogni scomparto un gatto simile a me. Hanno chiuso la porta e sono rimasta sola. Il camion è partito e faceva molto rumore. Tutti piangevano. Siamo rimasti così per molte ore, faceva freddo.
A un certo punto il camion si è fermato, si è aperta la porta e un’umana ci ha dato da mangiare e ha cambiato i tappetini assorbenti che nel frattempo avevamo sporcato, non avevamo potuto fare altrimenti, non c’era scelta. A me ripugnava sporcare nel mio letto, ma come potevo fare?
Poi la porta si è richiusa e il camion è ripartito. Ancora rumore, ancora freddo, ancora buio, però non piangeva più nessuno.
Dopo un tempo infinito così, con alcune pause per mangiare e cambiare i tappetini , siamo arrivati in un posto dove c’erano delle persone. L’umana ha tirato fuori i trasportini dagli scomparti a uno a uno e ci ha consegnati ad altri umani. Gli umani erano sorridenti, noi spaventati. Faceva freddo.
Io dalla nuova signora sono stata messa in un’auto blu e siamo ripartite. Altro rumore, però stavolta non faceva freddo.
Quando siamo arrivate, questa signora mi ha messo in una stanza piccola tutta per me e ha aperto lo sportello del mio trasportino. Io mi sono guardata bene dall’uscire. Solo quando ero ben sicura di essere sola ho esplorato il perimetro della stanza, che era come quella della mia prima casa, il pavimento era liscio e freddo. E’ arrivata una nuova tana foderata di una cosa morbida, che mi è piaciuta subito. Questa tana era molto più bella e ci stavo volentieri.
Ogni tanto la nuova signora entrava nella stanza, faceva uno strano rumore come di acqua, mi parlava. Io però stavo rintanata nel mio nascondiglio. E’ andata avanti così per parecchi giorni: io uscivo quando ero sola, esploravo, giocavo con il rotolo di carta bianca, saltavo sul davanzale, giocavo con l’asciugamano. Quando sentivo i passi della signora, mi nascondevo. Era molto tranquillo.
Dopo un po’ di tempo, la signora mi ha trasferito in un’altra stanza, molto più grande e con più rumori. Ho cominciato a uscire dalla tana perché un po’ mi annoiavo.
La signora era grande e grossa, anche se mi parlava con voce gentile. Io mi spaventavo e correvo nella tana, oppure mi nascondevo sotto il tavolo.
Col passare dei giorni mi sono abituata alla signora nuova, ma ogni giorno c’erano delle novità. Intanto, ho scoperto che potevo andare alla finestra e guardare fuori gli uccellini, la mia passione! Posso stare ore a guardarli. Poi, ho capito di non essere sola con la signora: circolavano altri gatti in quella casa. Non sembravano nemici, ma non si sa mai. Io stavo ben alla larga.
Dopo un po’ ho capito che la gatta bianca e nera con la mascherina non era pericolosa: dormiva tutto il giorno e non faceva un gran che, così ho cominciato ad accorciare le distanze. Ora qualche volta dormiamo addirittura sullo stesso divano.
L’altra, quella tigrata, invece era indecifrabile. Grossa come una tigre, agile come un leopardo, mi sfuggiva e mi ringhiava. Ancora adesso mi ringhia spesso. Non dev’essere molto sveglia, perché è evidente che io voglio solo giocare.
La signora mi ha messo un piccolo cestino foderato di lana morbida sul divano del soggiorno, proprio di fronte alla porta, così posso tenere d’occhio chi entra e decidere se costituisce una minaccia. In realtà solo adesso cominciano a venire umani diversi, qualche volta.
Io nel frattempo sono cresciuta e il cestino è diventato un po’ piccolo, ma mi ci sento bene, mi fa sentire protetta. Quando sono lì dentro, tutti mi lasciano stare.
In questo posto ora mi sono ambientata e ci sto piuttosto bene. L’unica cosa che lascia un po’ a desiderare è il vitto: il solo pasto decente della giornata (la carne umida) viene servita a colazione, dopodiché ognuno si dedica alle proprie attività e fino al giorno dopo ci sono unicamente dei cosi secchi come il cartone, però si sa, quando si ha fame, non si va troppo il sottile. Io vorrei che la signora capisse che non è cibo degno di un gatto, quello. Per il resto, la signora è gentile con me, mi fa anche dormire insieme a lei sul letto con le altre gatte.
Mi chiamo Clea e sono l’angelo custode di questa casa.