Tutti gli articoli di Valeria Giacomello

Pioggia

Mino si guardò intorno sconsolato, scacciando infastidito un moscone che si ostinava a girargli intorno. Ormai erano mesi che non pioveva, il suo campo coltivato a granturco aveva da tempo perso il colore verde delle tenere foglioline e le pannocchie stentavano a crescere, secche e protese verso l’alto come in uno strenuo tentativo di ricevere qualche goccia consolatrice.
«Per annaffiarle mi rimane solo il mio sudore», pensò disperato. Tocco le pianticelle rinsecchite con le dita callose di chi la terra l’ha lavorata per tutta la vita e la conosce bene, fin troppo bene per sperare in un capovolgimento della sorte.
«Quest’anno il raccolto rischia di essere compromesso», si disse quasi con rassegnazione. Pensò a sua moglie che contava sempre meno su di lui per il vivere quotidiano, a suo figlio che aveva perso ogni fiducia e alla terra non voleva più pensare, ai progetti per il futuro che anno dopo anno andavano in fumo, bruciati dalla stessa arsura che stava prosciugando la vitalità dai suoi campi.
Eppure quella era la vita che da generazioni aveva sostenuto la sua famiglia, quelli erano i terreni che si erano tramandati di padre in figlio.
Un tempo, i campi maturavano rigogliosi e gli anni sterili erano pochi, catastrofi naturali come grandinate o siccità venivano raccontate dai vecchi ai bambini a cui la sera, raccolti nel granaio per scaldarsi a vicenda, raccontavano le storie di messi perdute, disperazione e ripresa fra difficoltà superate e nuove sfide all’orizzonte.
Una vita difficile ma a cui nessuno avrebbe mai pensato di poter rinunciare: la terra era il loro destino, la loro ragione di vita.
Ora però tutto era cambiato. Ogni anno era più caldo, meno piovoso, e i raccolti si facevano sempre più striminziti.
«Acqua, serve acqua! Dio del cielo, se mi ascolti, fai piovere, fai bere i miei campi e restituiscimi la mia vita!».
Uno sguardo al cielo e uno alla terra secca, rimase fermo ancora un po’, come in attesa.

Allitterazione, Assonanza, Onomatopea

Allitterazione

Il treno a Trento trovò ritardo
Se sento sospirare lo sento a stento
Si era infrattato fra le fresche frasche
La mosca si posa sulla rosa odorosa
Le farfalle dalle ali gialle

Assonanza

Io mi dirigo ma non rido se non ti vedo
In agosto la pigrizia non conosco
A Verona vengo ma c’è vento

Onomatopea

Fri fri fri… sentivo le cicale cantare
Nella vecchia fattoria iah iah oh
Criiii… la porta si aprì con un fastidioso cigolio

Tu sei dentro a una vita che ignoro

Dimmi, come stai? Senti caldo… o forse freddo? Aspetta, ti metto a posto il cuscino. Va meglio?
Ecco, finalmente sorridi. Bastava mettere meglio il cuscino… Lo sapevo che con te non è tempo perso. Non lo è mai stato, tanto meno potrebbe esserlo ora.
Ieri ho avuto l’interrogazione di Letteratura, dovevo preparare Dante. Ho portato la storia di Paolo e Francesca. Che non so neppure perché te lo sto raccontando, a te non è che Dante poi piaccia da morire… Così, per dire. Però Paolo e Francesca non puoi non amarli. L’amore perduto, l’amore maledetto… maledetto chi li uccise e maledetto chi li destinò all’inferno, seppure trasudando pietà. La pietà cortese dei benpensanti… quanti ne uccise!
E cosa mia potranno farsene della pietà degli uomini Paolo e Francesco? Loro avrebbero voluto amarsi ed essere felici, mica diventare immortali.
Meno male che la campanella ha suonato prima che potessi terminare il concetto di chi ci avrei ficcato io, all’inferno, al posto di Paolo e Francesca, uno dei primi casi di femminicidio storicamente documentati.
Vedo che sorridi… o forse l’ho solo immaginato, perché mi farebbe piacere che tu sorridessi.
Ma poi, chi voglio prendere in giro? Sono patetica. Ieri non ho avuto nessuna interrogazione, la scuola l’ho finita da quarant’anni. Mi faceva solo piacere illudermi per qualche minuto che fossimo ancora lì, insieme, in quei giorni che non sapevamo essere felici.
Vorrei la macchina del tempo. Non per tornare indietro a cambiare il destino, neanche per impartire lezioni alle più giovani noi. Vorrei solo tornare indietro per godere della tua compagnia, abbracciarti forte, farti capire quanto per me eri importante. Lo hai mai saputo? Ormai, non posso più chiedertelo.
Osservo il tuo guscio vuoto. Eppure non posso accettare che tu non ci sia più. A cosa stai pensando, persa nel tuo mondo a me negato?
Tu sei dentro a una vita che ignoro.

L’uomo più importante

Papà, radice e luce,
portami ancora per mano
nell’ottobre dorato
del primo giorno di scuola.
Le rondini partivano,
strillavano:
“fra cinquant’anni
ci ricorderai”.

Maria Luisa Spaziani, Papà, radice e luce

Una passata di rossetto leggero sulle labbra, due gocce di profumo ai polsi, mi do un’ultima occhiata allo specchio. Sono pronta.All’uscita di casa vengo salutata dalla bellissima giornata di sole, una carezza di calore sulla pelle ad annunciare che la primavera è alle porte e la vita si risveglia. Mi sento carina e leggera nel mio vestitino a fiori mentre mi reco all’appuntamento con l’uomo più speciale di tutto il mio mondo. Eccolo lì, già seduto al tavolino del bar, che mi sta aspettando.
Mi vede arrivare e mi saluta con un grande sorriso e gli occhi luccicanti di gioia.
«Ciao papà, che bello rivederti!» esclamo mentre mi faccio avvolgere dal suo abbraccio, morbido e rassicurante.
«Mi sei mancato, papi. Non farmi più questi scherzi di non farti vedere così a lungo. Sei che ho sempre bisogno di sapere tutto, come stai, se va tutto bene, se sei sereno».
Lui mi rivolge uno di quei suoi sorrisi dolci, quasi malinconici, che hanno sempre avuto il potere di smuovermi un mondo dentro al cuore.
«Eh, come vuoi che vada. Tutto il giorno nel mio laboratorio a ricavare porta penne con i ferri di cavallo. Che fra l’altro ho quasi esaurito. Quando me ne porti altri?»
Ora, mio padre chiama laboratorio un cantinotto buio e polveroso che, secondo me, non gli fa neanche troppo bene alla salute ma, finché si tiene occupato, tutto sommato è il male minore e quindi lo assecondo.
«Presto ti porto altri ferri, non è che posso sferrare i cavalli apposta con quello che costa il maniscalco, non ti pare?».
Dalla sua smorfia poco convinta capisco che sì, a lui invece parrebbe. Ma preferisce cambiare discorso.
«Ordiniamo?».
Faccio un cenno al cameriere: «Due cappuccini con molta schiuma e una spruzzata di cacao».
Quando arrivano, mio papà si tuffa goloso nella sua tazza. Ne riemerge con i baffi bianchi e marroni. Prendo un tovagliolino, ridendo: «Fai proprio come i bambini! Aspetta che ti pulisco la faccia, non ti si può guardare!».
Torniamo seri, come se avessimo esaurito gli argomenti della classica conversazione di chi non si vuole impegnare in qualcosa di più coinvolgente, forse per pudore di mostrare i propri sentimenti. Quante cose vorrei dirti, papà mio! Sono stata una brava figlia? Ho mai saputo farti capire quanto io ti ami e quanto bisogno ho sempre avuto di te? Ti ho reso felice?
Chissà se anche il tuo silenzio è, come il mio, riempito da mille domande inespresse. Vorrei non lasciarti andare più, ti afferro le mani, come se bastasse per trattenerti ancora. Ma il tempo stringe inesorabilmente. C’era il sole, ora il cielo è già buio. Come è possibile?
«Sai che devo andare ora», mi sgrida con gentilezza staccandosi dalla mia presa.
«Lo so, papi. Ma è troppo triste questo pensiero. Quando ci rivedremo?»
«È compito tuo più che mio. Io faccio tutto il possibile ma sei tu che mi devi chiamare, è così che funziona».
«Va bene, papà. Allora ti lascio andare, per il momento. Arrivederci al prossimo sogno!».

Lettera a mia figlia

Così finalmente sei qui con me, ecco come ci si sente. Ho avuto 9 mesi di tempo per fare le prove ma nulla avrebbe mai potuto prepararmi a questo momento così perfetto, dove tutto è amore e marca la differenza fra prima di te e ora che tu ci sei.

Quanto dolore figlia per partorirti, quanto dolore. Dicevano che nel momento in cui ti avrei avuta fra le mie braccia avrei dimenticato tutto ma non è stato così, ricordo esattamente ogni momento del travaglio che sembrava non dover finire mai. Ora però che ci sei, che assaporo il tuo innocente calore, sento che tutto ha avuto senso. Le mie battaglie, le mie gioie e i miei dolori, la fatica di vivere, l’amore dato e ricevuto, i desideri realizzati e anche gli insuccessi, la mia vita intera non è stata altro che una lunga preparazione per arrivare a te e solo ora tutto è perfetto.

Vorrei poterti promettere che il mondo con te sarà buono, che conoscerai solo cose belle e amore infinito. Mentirti sarebbe facile, non sai ancora nulla. Forse potrei tenerti nascosta per sempre, lontana dalle sofferenze e dalla cattiveria, ma so di non poterlo fare perché la vita va sempre avanti come un fiume in piena e non possiamo che seguirne la corrente.

Posso però giurarti che sarò ogni giorno al tuo fianco, ad affrontare insieme a te qualsiasi momento con il coraggio e la forza di una tigre. Giocherò con te e ti farò ridere anche quando i miei occhi si chiuderanno dal sonno. Ti curerò quando ti ammalerai e renderò più dolce ogni tua attesa. Raccoglierò le tue prime lacrime d’amore, ti spiegherò le cose della vita mettendoci tutta la mia anima e la mia esperienza. Farò tutto, tutto quanto in mio potere per proteggerti sempre dal male del mondo e consolarti quando farai fatica.

Ascolto il tuo respiro mentre osservo il tuo piccolo petto sollevarsi ritmicamente nel sonno.  Chissà cosa stai sognando in questo preciso momento, forse i ricordi di quando eri dentro di me e tutto era ovattato, rassicurante. Il tuo mondo era piccolo e aveva i contorni tondi della mia pancia. Quante carezze su quel pancione che ogni giorno cresceva pieno di promesse.

Ti muovi piano e fai delle deliziose smorfiette toccandoti la bocca con le manine paffute. Una, due, tre… conto le tue piccole dita così tenere, così perfette da farmi commuovere. Tutto in te è perfetto e sa di noi, perché oggi è iniziata la nostra avventura.

Per te ci sarò sempre. Ci sarò anche quando sbaglierai, perché purtroppo ogni tanto è destino che accada, e se persino il mondo intero ti abbandonasse io sarò ancora lì, accanto a te, a difenderti da tutto e tutti perché sono la tua mamma. Amore mio infinito, vita mia, sarò la tua mamma per sempre.

L’ultimo concerto

Amo il colore azzurro. Lo trovo rassicurante, come quando alzo gli occhi e osservo il cielo che sembra esistere solo per me, che mi osserva dall’alto e mi convince che va tutto bene.
Sdraiata sull’erba fresca e soffice, concentro per un attimo l’attenzione sull’operoso frinire delle cicale.
TriTriTriTri… il loro canto un po’ stridulo suona alle mie orecchie assetate di natura come un vero e proprio concerto e lo assaporo mentre mi faccio cullare dal venticello che stempera il calore del sole.
Sarà l’ultimo concerto di questa estate. Domani tornerò in quella piccola ordinata scatola di piastrelle e mattoni che mi ostino a chiamare casa mia.

Ora però non voglio pensare a nient’altro, sono qui e sono felice. E questo basta.

Fiori freschi in dono

Oggi sono stata a portarti dei fiori freschi. Un mazzo bellissimo, il più bello di tutto il cimitero. Dovevi vedere con che sguardi di compassione mi guardavano tutti. Da quando te ne sei andato gli amici sono stati encomiabili, mi si sono stretti attorno e mi riempiono di attenzioni.

Questa casa mi lascia troppi ricordi dolorosi, ho deciso di venderla e quindi sto cominciando a impacchettare. Certo, mi hai reso questo compito particolarmente facile: ogni tua cosa tu l’avevi catalogata, organizzata, ordinata e riposta con un ordine perfetto. So esattamente cosa c’è, dove e perché.

Eh già, tu eri così: metodico, preciso e un po’ pedante. Con te le sorprese di certo non esistevano. Se posso permettermi, eri troppo metodico, preciso e un po’ pedante. Vivere con te era di una noia mortale. Io te lo ripetevo sempre: «Sorprendimi, fa’ qualcosa di diverso, esci dai binari!».
Ma tu niente. Mi spiace davvero per ciò che è successo, ma se fossi stato capace di venirmi incontro almeno un pochino di certo non ti avrei fatto mangiare quei funghi velenosi per cena!

Le ali della mosca

Avrò avuto una decina d’anni. La scena si svolge a Riccione, terra delle mie radici.

Sono a casa dei nonni, sto giocando con altri bambini. Uno di loro cattura una mosca, e con inconsapevole crudele indifferenza le strappa le ali. Io rimango a guardare la mosca. Gli altri si stancano ed escono a inventare nuovi giochi. Io resto con la mosca, che è ancora viva e arranca intorno. Cerco un rifugio sicuro dove posarla. Mi guardo attorno, ma alla fine capisco che non esiste un posto sicuro per una mosca menomata. Senza le ali, una mosca non è più nulla. Una mosca è fatta per volare, se può solo camminare la sua vita non ha senso.
Resto a pensare a lungo, poi alla fine decido per l’unica scelta che mi pare  possibile: afferro la mosca fra le dita, e la schiaccio.
Quanta pietà in quella apparente mancanza di pietà! Solo i bambini con i loro cuori innocenti sanno esserne capaci.
Ricordo di non avere pianto, ma quella mosca io non l’ho mai dimenticata. Tante, troppe volte, ho cercato le mie ali per volare fino al senso della mia vita.
Forse poi il senso della nostra vita è semplicemente racchiuso nel nostr sforzo quotidiano. Se è così, ogni vita è il racconto di un successo, una volta che impariamo la chiave di lettura.

Balla

Balla mia bella,
muovi i fianchi come onde
quando è buio e le luci sono
fuochi fatui nella notte.

Balla e sogna, e segui il tempo
con le dita, il tempo che
tra le dita scivola
fino a volare dentro al cuore
ma nel cuore c’è dolore.

Balla e ridi e agita la gonna,
nera fiamma
promessa di dolcezza e di dolore,
balla senza far rumore.

Segui i tamburi come in un sogno
dove i tuoi seni sono fuoco vivo,
balla e non pensare a domani
perché domani non può ferire.

Chiudi gli occhi lasciati andare,
lascia che sia e balla come mai
perché sei vera, sei viva
e lo sai.

Balla questo ritmo che sale
dalla tua anima negra che ti fa capire
che finché balli
non puoi morire.

Non pensare più al dolore,
o pensaci con amore.

Le ali della libertà

Dalle antiche vette
le braccia tendi
più in alto ancora
dell’azzurro nulla,
oltre il dolore,
più in là del mondo.

Librati spirito
spiega le ali
e va’…
Ti prego, oh prego,
vola
là dove è amore, e vita,
e luce, e gioia.

Dove sarai libero,
dove è già il tuo cuore,
dove il dolore
guarirà…
Oh vola!
Oltre le antiche vette
verso l’eternità.