Archivia 29 Maggio 2023

L’ultimo concerto

Amo il colore azzurro. Lo trovo rassicurante, come quando alzo gli occhi e osservo il cielo che sembra esistere solo per me, che mi osserva dall’alto e mi convince che va tutto bene.
Sdraiata sull’erba fresca e soffice, concentro per un attimo l’attenzione sull’operoso frinire delle cicale.
TriTriTriTri… il loro canto un po’ stridulo suona alle mie orecchie assetate di natura come un vero e proprio concerto e lo assaporo mentre mi faccio cullare dal venticello che stempera il calore del sole.
Sarà l’ultimo concerto di questa estate. Domani tornerò in quella piccola ordinata scatola di piastrelle e mattoni che mi ostino a chiamare casa mia.

Ora però non voglio pensare a nient’altro, sono qui e sono felice. E questo basta.

Fiori freschi in dono

Oggi sono stata a portarti dei fiori freschi. Un mazzo bellissimo, il più bello di tutto il cimitero. Dovevi vedere con che sguardi di compassione mi guardavano tutti. Da quando te ne sei andato gli amici sono stati encomiabili, mi si sono stretti attorno e mi riempiono di attenzioni.

Questa casa mi lascia troppi ricordi dolorosi, ho deciso di venderla e quindi sto cominciando a impacchettare. Certo, mi hai reso questo compito particolarmente facile: ogni tua cosa tu l’avevi catalogata, organizzata, ordinata e riposta con un ordine perfetto. So esattamente cosa c’è, dove e perché.

Eh già, tu eri così: metodico, preciso e un po’ pedante. Con te le sorprese di certo non esistevano. Se posso permettermi, eri troppo metodico, preciso e un po’ pedante. Vivere con te era di una noia mortale. Io te lo ripetevo sempre: «Sorprendimi, fa’ qualcosa di diverso, esci dai binari!».
Ma tu niente. Mi spiace davvero per ciò che è successo, ma se fossi stato capace di venirmi incontro almeno un pochino di certo non ti avrei fatto mangiare quei funghi velenosi per cena!

QUANTE MAMME CI SONO ?

Capelli corvini fino a novant’anni  “perché così potete vedermi sempre giovane”, colore preferito il rosso, carattere fumantino non con noi figli, solo con nostro padre che sembrava essere quello che subiva, nella coppia, ma in effetti era il magma sotterraneo che faceva esplodere il vulcano.

Lei, la mia mamma. Donna esuberante, canterina, così vivace che la sua sorella maggiore che le ha fatto da mamma come ai suoi tre fratelli ,perché la loro era morta di parto, una volta la legò giovanissima alla gamba del tavolo perché  non andasse in balera a vedere gli altri ballare.

Lei mi ha insegnato ad affrontare la vita con leggerezza, non lasciandomi abbattere dalle difficoltà ma trovando anche nelle vicende più problematiche qualcosa di buono da vivere e da imparare.

La ricordo quando io, alunna delle medie in crisi di fronte a un’espressione matematica particolarmente  ostica, me la ritrovavo accanto che mi diceva :”Io ho fatto solo la terza elementare, non capisco queste espressioni , però resto qua vicino a te e ti faccio compagnia”. E più  di una volta, rifacendole, le espressioni risultavano esatte.

Ricordo anche la sua voce acuta, da soprano, quando la domenica mattina , cantando, steccava la carne con l’aglio per renderla più appetitosa e la sua allegria mi contagiava. Ho imparato tantissime canzoni cantando con lei. Non ricordo particolari abbracci, baci o carezze da parte sua, ma nei momenti importanti lei era lì.

Anche se a sua insaputa mi ha insegnato cos’è l’autonomia, lasciandomi tornare a casa da scuola da sola, vincendo la paura di percorrere un lunghissimo pezzo di strada e fidandomi di me e delle mie forze .

Accanto a lei, durante la mia vita in famiglia, c’è  stata anche un’altra specie di mamma, la zia , sua sorella (quella della gamba del tavolo ).

Diametralmente opposta, mi aspettava quando tornavo da scuola con il pranzo pronto,  mi ha corretto tante volte i temi e fatto rifare i disegni delle persone perché erano sempre troppo grasse,  mi ha insegnato  a giocare a scala quaranta,  a lavorare all’uncinetto,  a fare la pizza, a  sistemare la cartella in camera  invece di  lasciarla  per terra in corridoio , come facevo di solito.

Regole, divertimento, autonomia mi hanno aiutato a crescere e a trovare  il centro della mia vita.

E io che mamma sono stata?

Non mi sono fatta nessuna domanda quando i miei figli erano piccoli e neppure adesso che sono grandi.

Per deformazione professionale ho avuto un unico pallino : quello della scuola. Mi piaceva che loro leggessero tanti libri, imparassero bene le tabelline e si portassero avanti nei loro compiti. Per il resto ho vissuto , riso, giocato e sono diventata grande insieme a loro.

Ricordo che di giorno ci sono sempre stata mentre di notte chiamavano “papà ” perché io non sentivo le loro voci. Oggi che sono adulti e mi scopro a osservarli, mi dico che quello che vedo mi piace e sono contenta per loro e un po’ anche per me.

Lei, soprannominata ” farfallina durina” perché morbida fuori e tosta dentro sta attraversando l’esistenza con forza e leggerezza come la sua nonna. La osservo mentre legge i libretti ai suoi bambini, li abbraccia , li bacia, li accarezza, li  porta a spasso, parla con loro anche in inglese, prepara le loro pappe e si sveglia di notte quando piangono.

E allora penso che tutti noi siamo stati bambini fortunati perché abbiamo avuto una mamma e qualche volta anche due .

Gabriella

 

 

 

 

 

 

 

GIUDITTA, MIA MADRE

Mia madre non è mai diventata anziana e fragile per me, anche se è morta a 77 anni, ben sedici anni fa: era una donna forte, alta e snella, con i capelli corti e fini tinti sempre di castano e grandi occhi grigi.

Era vedova da quattro anni e viveva sempre nella grande casa dove ci trovavamo ogni mattina noi figli per un caffè, prima di andare al lavoro.

Si chiamava Giuditta ed era nata n una grande famiglia contadina patriarcale dell’Alta valle Seriana di Bergamo, terza di sei figli; le femmine da giovani tutte passate per la fabbrica tessile della valle e i maschi da giovani tutti minatori in Belgio e Francia. Anche lei aveva lavorato in filanda ma poi era andata via di casa, in Svizzera a lavorare in istituto con i bimbi piccoli e più tardi era tornata a Milano come governante.

Ad una festa in casa con balli, come si usava in quegli anni, incontrò mio padre e si sposarono ,nonostante la sua famiglia non capisse perché volesse sposare un ragazzo così diverso come tipo e come interessi dalla gente della valle, un romano che si occupava di lavatrici e non aveva né terre, né animali.

Mi ha sempre detto di essere andata via di casa giovanissima perché non le piaceva che fosse il più anziano della casa a comandare, il loro nonno Elia. Noi figli però le abbiamo sempre ricordato da adulti che anche lei era un comandante in casa e bastava un suo sguardo a far cessare litigi o capricci.

Volere una bella casa grande  costò anche a lei grandi sacrifici e rinunce, poche vacanze , poco o nulla di superfluo.

Spesso la ricordo stanca ma mai in disordine, sempre ben vestita anche in casa e le sue unghie sempre colorate

Era una donna riservata ma quando era con le sue amiche era spensierata e rideva forte.

Eravamo sempre di corsa nelle nostre vite e mi manca non essere mai uscita sola con lei per un cinema o una pizza; fisicamente eravamo diverse eppure mi accorgo di fare tanti gesti come lei e il mio viso nel tempo le assomiglia nelle pieghe della bocca, o così mi piace pensare!

Era nata l’otto di maggio, il sei maggio era il suo onomastico e in maggio festeggiamo le mamme, quindi ricordi in quantità

AMICA MIA

A volte mi chiedo se la conosco davvero la mia amica Piera, anzi Piera Antonia come dice lei, ma la sensazione a pelle è che sia una donna tutta casa e chiesa, una di quelle che sanno sempre chi ha ragione e chi è nel torto.

L’ho incontrata la prima volta ai piedi della montagna che sovrasta Grabiasca, ero affamata e infreddolita mentre lei era poggiata ad un tronco e addentava un panino imbottito: salutai e le chiesi se avesse qualcosa da mangiare per me, mi girava la testa e cominciavo a vedere nero a volte, segno che la colazione mancata al mattino si faceva sentire.

Mi squadrò e dopo qualche secondo mi disse: ” In montagna non si esce senza essere attrezzati, ho del cioccolato se vuole, ma non ha pensato al cammino che doveva fare? ”

Mi sarei voltata e me ne sarei andata, ma il vuoto nello stomaco mi mise sul viso un sorriso cretino e di circostanza che ancora ricordo con fastidio. Questo è stato il nostro primo incontro e dopo 35 anni  a volte mi domando come facciamo ad andare d’accordo così diverse, lei rigida nelle sue certezze ed io sempre incerta .

 

ORIGINI

Il giovane Holden  di J.D. Salinger

” Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla Copperfield, ma a me non va proprio di parlarne”

Scherzo! Voglio parlarne a tutti anche se in realtà non posso farlo, per una di quelle strane storie di famiglia…

Sono nata povera, senza neanche una culla. Mia madre viveva da sola a Milano quando incontrò mio padre e si sposarono con tante  idee ma senza un gran reddito, quindi in via Lecco la mia prima culla fu il cassettone basso del comò. Pane e frutta furono spesso il loro pranzo e la loro cena, allora costavano poco.

Come soluzione poco dopo presero una portineria sempre a Milano, in un bel palazzone nuovo in zona Fiera e così almeno la casa c’era,  luce e gas erano risolti e mia madre aveva un lavoro. Mio padre riparava le prime lavatrici arrivate dall’America e cominciò a guadagnare bene

Erano anni speciali quelli e anche loro in pochi anni hanno potuto migliorare il loro tenore di vita, lavorando sodo.

Ricordo ancora un Natale in cui ricevetti un sacco di regali ed io, bimba assennata e di poche pretese, mi chiedevo come mai Babbo Natale mi avesse fatto così tanti doni. Beata ingenuità!

 

 

RIFUGIO

Qual è la tua isoletta rifugio? Lago di Iseo, paese di Marone e poi salire verso il Monte Gugliemo o Golem come lo chiamano qui.

Quando voglio rilassarmi o isolarmi mi vedo sempre al Rifugio Croce di Marone c. 1000 mt, su una sdraio voltata verso il fondo valle impenetrabile per la folta vegetazione.

In realtà si può scendere a piedi verso Gardone Val Trompia ma il percorso è lungo e tutto a gradoni, molto faticoso per i non  allenati.

Per me è un vero paradiso anche se mancavano tante comodità ,ma da anni non ci vado più, non riesco, troppi ricordi di vacanze con parenti ed amici che non ci sono più; ricordi belli e bellissimi ma pesanti sul cuore.

 

Le ali della mosca

Avrò avuto una decina d’anni. La scena si svolge a Riccione, terra delle mie radici.

Sono a casa dei nonni, sto giocando con altri bambini. Uno di loro cattura una mosca, e con inconsapevole crudele indifferenza le strappa le ali. Io rimango a guardare la mosca. Gli altri si stancano ed escono a inventare nuovi giochi. Io resto con la mosca, che è ancora viva e arranca intorno. Cerco un rifugio sicuro dove posarla. Mi guardo attorno, ma alla fine capisco che non esiste un posto sicuro per una mosca menomata. Senza le ali, una mosca non è più nulla. Una mosca è fatta per volare, se può solo camminare la sua vita non ha senso.
Resto a pensare a lungo, poi alla fine decido per l’unica scelta che mi pare  possibile: afferro la mosca fra le dita, e la schiaccio.
Quanta pietà in quella apparente mancanza di pietà! Solo i bambini con i loro cuori innocenti sanno esserne capaci.
Ricordo di non avere pianto, ma quella mosca io non l’ho mai dimenticata. Tante, troppe volte, ho cercato le mie ali per volare fino al senso della mia vita.
Forse poi il senso della nostra vita è semplicemente racchiuso nel nostr sforzo quotidiano. Se è così, ogni vita è il racconto di un successo, una volta che impariamo la chiave di lettura.

Io non ti ho visto nascere

Io non ti ho visto nascere, e questo ancora adesso mi fa stare male.

Per molto tempo ho avuto la sensazione che mi mancasse una parte, come se non fossi una mamma completa. Non ho sentito il tuo primo pianto, il tuo primo respiro. E ancora adesso dopo venti tre anni mi manca.

Quando ho scoperto di essere incinta dopo due giorni siamo partiti in macchina e mentre eravamo in vacanza ho avuto delle perdite

Avevo già perso un bambino e non volevo perdere anche te

Siamo stati in ospedale e mi hanno fatto delle iniezioni. Poi qualche giorno dopo mi hanno fatto un’ecografia. Su quel lettino con le braccia incrociate sul petto aspettavo solo un brutto verdetto, poi un suono assordante ma ritmico e il dottore mi disse: “Signora lo sente questo rumore? E’ il battito del cuore di suo figlio”. Piansi. Era un pianto di felicità, un pianto d’amore

Non posso dire di aver avuto una brutta gravidanza, non ho sofferto di nausea e ho avuto poche voglie.

Mi ricordo di aver sentito esattamente quando ti sei girato. In quel periodo stavo lavorando al bar alla cassa. Ero in piedi, in pieno orario di punta, nel trambusto della lunga fila davanti a me e mentre ordinavo a tua zia i panini da mettere a scaldare, ho sentito la tua capriola. Mi sono congelata e sbarrando gli occhi verso tua zia ho esclamato:” Si è girato!” In quel momento il tempo si è fermato. Tu piccolo esserino dentro di me.

Mi ricordo che quando andavo a sdraiarmi a letto, spesso e volentieri puntavi i tuoi pedini verso i miei polmoni e spingevi. A me mancava il respiro e dovevo accarezzarti parlandoti per farti ritornare in posizione

Ma il parto è stato un viaggio

Sei nato diciotto giorni dopo la data di scadenza, la prima data presunta, ma fino a tre giorni prima non volevi nascere. Il Dottore mi disse: “Il bambino è ancora in alto, non si è ancora preparato a nascere”

Poi i primi dolori alla sera. Era sabato. Siamo andati in ospedale e l’ostetrica mi disse che quei dolori avrebbero dovuto essere almeno il triplo. Fuori c’erano tutti tuoi parenti. Fecero entrare mia madre che era agitatissima. Forse un pensiero inconscio si insinuò in me. Se lei, che aveva avuto sei figli e aveva visto nascere quattro nipoti prima di te, era così agitata, allora avrei dovuto esserlo anche io. Alla fine decisero di tenermi in ospedale perché inaspettatamente mi si era alzata la pressione.

Morale della favola tutta la domenica e il lunedì ho camminato lungo il corridoio del reparto, dando le doglie mai abbastanza forti. Martedì mattina il ginecologo, vedendomi ancora così, decise di farmi partorire ad ogni costo. Tentarono di tutto: ossitocina, dilatazione manuale, ma dopo avermi rotto le acque, il tuo cuore rallentò bruscamente. Cesareo d’urgenza. Mi prepararono in pochi minuti. In pochissimo tempo ero sotto la lampada della sala operatoria. L’anestesista urlava:” La vogliamo togliere questa ossitocina!”. Ricordo vagamente due occhi con la mascherina ed una voce che mi diceva: “Bene conti da 100 in giu..”. Ed io: “100, 99, 98,97……” Ricordo la sensazione di cadere nel nero profondo con la paura nel cuore.

Mi risvegliai nella sala post operatoria. In fondo alla stanza Ornella l’ostetrica compilava dei fogli. Io la chiamai e lei voltandosi esclamò “Ah Sonia sei sveglia.” Le domandai:” Ornella, Francesco come sta?” e lei mi rispose:” Francesco sta bene, è andato tutto bene”. Io ripiombai nel mio sonno profondo, complice l’anestesia ancora da smaltire. Sei nato alle 18.05 del 18 Aprile del 2000.

Alle 6 del mattino venni svegliata dalle infermiere che portavano il carrello degli arrosti. Lo chiamavamo cosi perché tutti i bambini erano messi in fila e fasciati tanto da sembrare dei piccoli arrosti. Io ero ancora intontita dai tre giorni di fatica e senza mangiare. Un’infermiera ti posò tra le mie braccia. Tu non piangevi. E fu in quel momento che ti vidi per la prima volta. Amore mio.

 

 

Tu, io

Tu
La mia libertà
Il pensiero
La speranza
L’avventura
L’audacia
L’orizzonte
L’istante infinito

Io
Ancorata
al ricordo
dei tuoi sguardi
in mezzo
al mio cuore
galleggio
nello spazio
dell’assenza

01/05/’23