Camminare nei boschi quando cade la neve.

Camminare nei boschi quando cade la neve.

Camminare nei boschi quando cade la neve. C’è della magia in tutto questo.

Alzare gli occhi al cielo e aprire la bocca per assaggiare il sapore dei fiocchi, grandi e piccoli, come i giorni della vita.

Il silenzio è interrotto solo dai nostri fiati e dai nostri passi che scricchiolano affondando nel sentiero bianco.

Noi non siamo gente di montagna, e i boschi, la neve, il silenzio ci fanno fare pensieri belli e brutti, come i giorni della vita.

Mi fermo un istante, di nuovo apro la bocca per dissetarmi con la neve che scende da un cielo bianco, un cielo che sembra abbia smesso di esistere.

Mi giro a guardarti, ti chiedo: «E se ci perdessimo?».

Per un attimo hai soppesato la domanda, forse pensavi fosse un desiderio, poi hai visto il timore nei miei occhi.

Non hai risposto, hai lasciato che la domanda cadesse con la neve. Perdersi, ritrovarsi, come nei giorni della vita.

I nostri passi lasciano impronte. Vediamo altre tracce, di animali. Ho pensato fossero di volpe.

Ora sei tu a chiedere: «E se ci fossero i lupi o gli orsi?».

Forse scherzi, o forse no. Ho cercato di capirlo dal tono, di trovarvi fili di paura. Difficile scandagliare la voce di un uomo e riconoscere i suoi timori. Ti ho guardato, la tua bocca sorrideva, i tuoi occhi no. Potevano esserci lupi e orsi, forse sì, forse no, come nei giorni della vita.

Ti ho risposto: «Gli orsi sono in letargo, e i lupi se ne stanno distanti da noi umani. Puzziamo troppo».

«I grizzly non vanno in letargo», hai commentato.

«I grizzly vivono ad almeno cinquemila chilometri da qui», ti ho risposto dall’interno del cappuccio che faceva rimbombare la mia voce.

Non mi ero accorta del silenzio. Silenzio nel vero senso della parola. Ho smesso di respirare un attimo e di ascoltare il mio cuore che pulsa per la salita. Mi sono voltata perché quel silenzio era assenza. Come in alcuni giorni della vita.

Tu non ci sei. Eri dietro di me un attimo prima e non ci sei più. Mi sono fermata per aspettarti. Le braccia conserte, la posa di chi accetta di malavoglia certe situazioni.

Ti ho visto spuntare dal fianco del bosco, mi hai chiamato: «Vieni», più a gesti che non con la voce.

Ho ridisceso il tratto di sentiero per raggiungerti. Mi hai condotto per un viottolo che non avevo notato. La neve era rivoltata dalle tracce, anche dalle tue orme.

Pochi passi e si è aperta una radura. Aveva qualcosa di magico. Un piccolo stagno ghiacciato in alcuni punti, l’erba gialla che contornava la riva, i pini che sembrava emanassero calore perché sotto di loro non c’era neve ma cuscini d’aghi marroni.

«Prima c’erano tre caprioli», mi hai detto, «ma ci hanno sentito e sono scappati».

«Già», ti ho risposto, «loro sì che devono aver paura, di noi, degli esseri umani».

«Essere Umano, non trovi sia un ossimoro, talvolta?», mi hai chiesto sedendoti sotto un pino.

Ho pensato alle guerre ancora accese nell’anno appena iniziato.

Mi sono seduta accanto a te, ho appoggiato la testa sulla tua spalla. Non ho risposto subito perché ho intravisto la sagoma di un capriolo, correva saltellando verso una discesa sul fianco della montagna. Era come se fuggisse senza togliermi gli occhi di dosso.

«Dipende dal significato che diamo alla parola umano. Forse siamo cattivi dentro, noi esseri Umani. Però sì, in ogni caso siamo un ossimoro».

Monica Caprari

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