Da qualche giorno ho compiuto sessantanove anni; sto abbandonando la gioventù, anzi, è lei ad abbandonarmi: prova ne è l’incanutimento e la ragnatela di rughe che il mio viso esibisce senza pudore né ritegno. Non mi sento proprio vecchia come quando arriverò ai cento anni ma, agli occhi di tutti, non sono più una donna giovane. Anche a me, come a molti, non piace dover ammettere di essere vecchia perché, intimamente, credo sia possibile vivere a lungo senza sentirsi tale.
Da tempo però non oso misurarmi l’altezza: avrei la prova certa di essere qualche centimentro più bassa; oso purtroppo affrontare ogni mattina – coraggiosamente! – il verdetto della bilancia constatando che a causa dei noti sei etti di troppo, ormai cristallizzati sul mio addome, non rispetto più la tabella del “peso ideale”.
Mi sono anche accorta che mi capitano episodi di sbadataggine; con grande rammarico spesso dimentico cose, parole, nomi e località. A mio favore dirò che grazie al calendario “per la famiglia” formato gigante, appeso alla parete dell’ingresso di casa, riesco ad annotare e ad onorare tutte le scadenze, le bollette, gli appuntamenti, le visite, gli impegni etc.. A fine mese ogni paginone, fitto di croci coloratissime, è davvero bello e tende ad assomigliare ad un interessante quadro astratto di Kandinsky.
E’ vero, non tengo il passo con le novità di apparecchiature elettroniche e, a differenza dei nipotini, fatico a memorizzare perfino quali pulsanti usare per accendere la SmartTv! La nuova tecnologia mi mette in crisi e, pur incuriosendomi mi crea disagio, mi debilita, facendomi sentire “superata”. Sostengo, inoltre, – seconda ottima scusa sempre a mio favore -, che la costante “ripetitività” di gesti, azioni, procedure è un martello impietoso che massacra la lucidità di pensiero: e ne ho le prove.
Per ognuno di noi esiste un personale nastro di registrazione che può arrivare a riempirsi completamente: il vero problema è che il mio, quasi saturo, possa iniziare a svuotarsi. Per il momento l’evidenza della vecchiaia non mi fa soffrire: troppi “calen-diari” mi attendono ed io prometto, in forza di un passato proattivo, che la noia non mi costringerà a contare i giorni che passano.
Il motivo per cui scrivo tanto, a parte lo struggimento per la fugacità del tempo, è lo struggicuore davanti al timore che se non ricorderò io la mia vita, un’esistenza straordinaria “tanto di tutto” – talmente dura da essere autentica -, amerei ci fosse qualcuno assetato di parole visibili, consistenti, felici, chiodate o alate, che potesse leggerla e ricavarne un sorriso (o una momentanea fuga dal dolore) per poi continuare con gioiosa libertà a sgranare i giorni del proprio unico, meraviglioso, irripetibile calendario.
28.01.2020