Ho fatto una visita ortopedica e il medico è stato molto chiaro nel dirmi che la mia situazione è complessa e di non facile soluzione.
Come mi sento? Mi sento consapevole e capisco che devo fare i conti con dei limiti che mi costano tanta fatica sia fisica che psicologica D’altra parte, mi dico, alla mia età, ho 75 anni, le cose quasi inevitabilmente cambiano ma nonostante ciò la frustrazione rimane e a malapena riesco a trattenere le lacrime.
Ringrazio il Signore d avere un briciolo d Fede e quindi sperare nel Dio dell’impossibile al Quale basta un “soffio” per cambiare le situazioni umanamente irrisolvibili
Ecco questo è il mio stato d’animo: scoraggiamento e speranza, voglia d piangere e voglia d vivere.
un rapporto che sta cambiando
Ho avuto sempre difficoltà di comunicazione con la mia figlia quartogenita. Lei fin da piccola ha manifestato disagi a motivo della presenza in famiglia della sorella Benedetta, nata un anno prima di lei. Benedetta essendo disabile attirava tanta attenzione su di sé e lei, Veronica, si sentiva un po’ messa da parte. I due fratelli maschi erano molto più grandi di lei e quindi facevano un po’ la loro vita. Io ho molto sofferto con lei il suo malessere e ho sempre cercato di starle vicina ma credo che Veronica non mi abbia mai perdonato di essere super-attenta a Benedetta e meno a lei che cresceva bene, senza problemi. Questa situazione è andata avanti per tanti anni fino a che Veronica non ha iniziato a fare uso di alcool e droghe leggere con mio grande dolore. All’età di 20 anni è entrata in una comunità di recupero e li è rimasta per oltre 10 anni, fino a quando si è sposata. Neanche il suo matrimonio ha sanato il nostro rapporto purtroppo. Adesso qualcosa è cambiato perché io sono cambiata. Da quando, ormai oltre un anno, soffro di dolori fisici, mi sono addolcita e sono molto più espansiva verso tutti i miei figli, anche con lei e le sue bambine.
Ringrazio il Signore di questo cambiamento perché il rischio era che io ripetessi con lei quello che è avvenuto fra me e mia mamma che non è mai riuscita a darmi il suo affetto liberamente in quanto pesantemente condizionata dalla presenza in famiglia della nonna paterna che mi ha sempre monopolizzata e io mi sentivo più sorella che figlia di mia mamma. Spero di cuore che con Veronica le cose continuino così e lei mi senta finalmente “mamma”, che possa contare su di me e percepire quanto bene le voglio.
CALEIDOSCOPIO
La giovane signora conosciuta e benvoluta da noi tutti, chiamata semplicemente “la bella imprenditrice”, arrivò al Circolo Ricreativo di Burraco in compagnia dela “nuovo straniero” giunto in paese. L’uomo avrà avuto una quarantina d’anni: alto, magro, capelli scarmigliati, volto affilato, olivastro, inquieto; occhi minuscoli, scuri, furbi; barba ispida e brizzolata. Sulle spalle un voluminoso zaino, consunto e lacero, color marrone, un carico dal quale non si liberò mai. Il suo aspetto trascurato ci lasciò sconcertati: indossava abiti vissuti, sporchi e stropicciati. Si comportò in modo strano: senza mai sorridere, o scambiare un saluto con i presenti, transitò muovendosi con passo felpato tra i vari tavoli, gettando occhiate particolari, furtive. Mantenni a lungo il ricordo del fremito, accompagnato da una sensazione di disagio, che mi attraversò.
All’interno del locale del Circolo, dove da diversi anni prestavo anche opera di volontariato in veste di “barista”, molti dei presenti espressero – più o meno sottovoce – ipotesi sul ruolo svolto dal nuovo arrivato: “Per me é il suo amante. Nooo, é il suo compagno. A seguire altre qualifiche: il fidanzato, l’autista, l’accompagnatore, il personal trainer, il futuro consorte, il nuovo operaio assunto nell’Azienda dell’imprenditrice, il cassiere, il ragioniere.” Alcuni anziani avventori, per gentilezza nei confronti della donna, sorrisero al nuovo venuto; altri si finsero indifferenti.
Nel frattempo, nel cortile esterno del Circolo, davanti ad un crocchio di adulti incuriositi, l’imprenditrice con voce squillante andava fornendo svariate, ed esilaranti versioni circa l’attività dell’amico taciturno, attribuendogli un caleidoscopio di identità personali e lavorative, anche con il supporto di squallide battutine. Divertita di trovarsi al centro dell’attenzione, giocava con parole e gesti, lanciando nel contempo preoccupate occhiate all’interno del locale. Dalla posizione in cui mi trovavo, – dietro al bancone del bar -, avvertivo che la donna, nonostante il susseguirsi di contagiose risatine, ai miei occhi si stava rivelando intimamente agitata. Decisi di manifestare questo pensiero all’amica Mari, compagna di scuola di vecchia data, ora collega barista, che lo condivise apertamente.
A partire da quel giorno di marzo calò il mistero: nessuno ebbe più notizia dello straniero e della donna.
Oggi, vigilia di Pasqua, Mari al telefono mi domanda: “Hai già letto il giornale?” “Mari, é la vigilia e ho molto da fare. Lo leggerò stasera. Perché?” “Aprilo. Guarda l’articolo e la fotografia a pagina ventidue. Lo scoprirai.” “Puoi anticiparmelo? Ho varie pentole sul fuoco.” “Non voglio rovinarti la sorpresa. Ciao carissima streghetta. Tanti auguroni a te e ai tuoi cari. Smacksmack.”
Incapace di trattenere la curiosità apro il quotidiano e scopro l’identità dello “sconosciuto arrivato in paese”: si tratta di un nomade, capo di una banda di rapinatori, con i quali ha già messo a segno diversi colpi ai danni di Bankomat, ricercatissimo dalla Polizia. L’ultima rapina, ai danni di una Banca, l’ha compiuta ieri in una città della Toscana. Perfettamente riuscita, miracolosamente senza necessità di minacce di violenza o colpi di arma da fuoco. Per darsi alla fuga, – a bordo di una vettura BMW, sottratta un mese prima alla legittima proprietaria -, l’uomo ha tenuto il piede pesantemente schiacciato sull’acceleratore perdendo la vita in un terrificante schianto, contro un muro di cemento. Guardo attonita la fotografia: l’auto ha l’aspetto di una grande, scassatissima, fisarmonica. Pezzi di lamiera, vetri, ferri del mestiere, un cuscino, e molti altri oggetti, si sono sparpagliati ovunque.
Osservo meglio, più da vicino; mi é parso di intravedere e riconoscere il famoso zaino marrone: eccolo. Mostra una ferita aperta, rivelando parte dell’inutile contenuto cartaceo, banconote di scarsissimo valore se paragonate al prezioso, meraviglioso, multicolore caleidoscopio che é la Vita.
quel tocco sulla spalla
12 giugno 2019
Quanto bene fa sentire una persona che ti mette lo mano sulla spalla senza una parola. Lei non sa il mio stato d’animo ma in qualche modo vuole confortarmi incoraggiarmi dirmi che si è accorta d me
Posso solo ringraziare nel mio cuore l’amore che è passato e mi ha raggiunta!
speranza
12 Giugno 2019
Dopo una notte indefinibile ecco un nuovo giorno dove speranza viva mi dà la forza d non disperare Qualcuno che non delude mi ama, mi risponderà, non potrà lasciarmi sola: voglio vivere
SETTE VITE (11.06.2019)
Oggi, inspiegabilmente, proprio oggi che per tutti gli alunni é il primo giorno delle vacanze, dopo un anno trascorso sui banchi di scuola, ho rivisitato con i pensieri, con gli occhi del cuore e con la penna, un lontano dispiacere tenuto a lungo sottotraccia, – mai pensavo si sarebbe risvegliato! – riguardante quel “nipote di nonna Lisetta” che, quando ero bambina, mi aveva scippato una certa dose di serenità: Toni, il gatto, che io avevo ribattezzato “Nemico numero uno”. Nonna lo adorava, lo ricopriva di mille attenzioni, trascorreva giornate intere con lui, coccolandolo sulle ginocchia e sussurrandogli amorevolmente “MicioMicio”.
L’animale era un “trovatello” dal corpo robusto, pelo grigio scuro lungo e soffice, molto curato e pulito, due occhi giallini fosforescenti e cattivi, vibresse lunghe e spesse: un felino per niente socievole con altri.
Non potendo ottenere un pò di affetto da nonna, tenevo d’occhio il gatto in lontananza e, quando, stanco di carezze, con un improvviso balzo decideva di allontanarsi, eccomi prontissima a inseguirlo. Lo cercavo ovunque, lo rintracciavo, lo mettevo alle corde e lo acchiappavo per la collottola, – impresa difficile! – stringendo forte con le mie piccole mani.
Lo reggevo con le braccia tese in avanti, distante dalla faccia per paura che mi graffiasse, – ci provava senza tregua! – e, mentre emetteva insopportabili miagolii sembrava che da quei temibili occhi gialli volesse scagliare fulmini. Nonostante il peso, mai mollavo la presa.
Con il cuore che mi percuoteva nel petto come un tamburo, salivo di corsa gli scalini che portavano in alto, al granaio – una delle “sacre banche alimentari” dei nonni, – dove regnavano forti odori di legna, di fieno, di patate, di cipolle, di tabacco e, anche, di escrementi di volatili. Trovavo sempre una provvidenziale finestra spalancata, quella sul lato più lontano del casolare, non vista da nonna: mi affacciavo e scagliavo Toni nel vuoto. Ricordo che venivo attraversata da un forte brivido nel vederlo volare agitando le zampe in aria, annaspando alla ricerca di un appiglio. Ogni volta, come per incanto, un istante prima dell’impatto al suolo, si predisponeva ad atterrare sulle lunghe zampe. A terra, prima caracollava un pò, poi si dava alla fuga, velocissimamente.
Questo perverso gioco infantile, stremandomi, mi faceva sentire valorosa come un’eroina. Qualche tempo dopo, tutt’altro che ardimentosa, mi sono sentita mancare scoprendo lo smisurato, misterioso, paranormale?, vantaggio delle speranze di vita di cui godono i gatti.
L’INVOLUCRO
Il vincitore del premio Nobel per la Letteratura, Anatole France, tra molte altre perle
di saggezza, ha scritto: “Non conosco uomo così audace come i sogni di una donna”.
Voglio credere che lo scrittore francese sapesse pure che, da sempre, esistono uomini
così audaci da dedicarsi alla soppressione dei sogni delle donne.
A Noa, la ragazza olandese che ha lottato con tutte le forze per lasciarsi morire, era
stata sterminata senza pietà, e in più riprese, la costellazione dei sogni. La sua lunga
notte non si é più trasformata in mattino: é rimasta immersa nella profonda oscurità,
inospitale e invivibile.
Certe ferite non guariscono, sono refrattarie alla cicatrizzazione, soprattutto in presenza della corrosiva lentezza del dolore. Perfino la medicina dell’amore, spesso, non funziona: risulta insufficiente a ridare speranza.
“Vincere o imparare” é il titolo del libro, – il diario che la ragazza aveva scritto nel corso degli anni, e, pubblicato da poco tempo, – che mi spinge a domandarmi: con questa scelta definitiva avrà ritenuto di avere vinto o di avere imparato?
Non mi permetto il lusso di giudicare. La sua scomparsa lascia in eredità un grande interrogativo per una personale, utile, preziosa ma pure amarissima riflessione: “Una volta assassinati i pensieri, massacrati i sogni, e strappata l’anima, vale davvero la pena faticare per salvare quell’involucro chiamato corpo?”
Come molte donne, da sempre – e parecchio ne soffro – conosco l’audacia di alcuni uomini, privi di sogni, abilissimi nello spegnere la luce delle donne; ciò nonostante continuo a sperare, con tutto il mio essere, che il Cielo, lassù, ad ognuna di loro conceda in premio la luce dell’Immortalità.
Clinica Dentistica (Non é poesia)
Centesima, silente, asettica sala d’attesa.
Ennesima assistente carina, sorridente.
Dentista giovane, simpatico, aitante
amico/nemico. Sconosciuto l’Assistente
Altro giro, altra corsa, altri biglietti
Vinco facile. Estrazioni sorprendenti!
Guarda bene é uscito proprio il mio numero
“Quattro rifatti vecchi traballanti denti”.
Anestesia, ansia. Lacrime non mi permetto.
Sciacqui, saliva rosso sangue nel fazzoletto.
Sorriso storto. Davanti l’assegno da firmare.
“E’ stata super brava!” Adesso riposo da godere.
Ghiaccio, antibiotici, pillole contro il dolore.
Alito da tramortire un toro. Ne odio il sentore.
Sto seguendo la dieta “Devi ancora soffrire”.
Benissimo!, avrei giusto sei etti da smaltire.
Rido mentre percorro il mio privato calvario.
“Non fumare!” e poi “Bugia!” scriverò sul diario.