Io sono Adamo.
Stavo bene, anzi benissimo, nel giardino dell’eterna primavera. Cosa mi mancava? Nulla. Tutto era perfetto. Io ed Eva ci nutrivamo dei frutti che spuntavano da soli, giocavamo tra noi e con gli altri esseri viventi. Le fronde verdi si piegavano spontanee per proteggerci dal fresco della notte.
Cosa ti mancava, Eva? C’era proprio bisogno di combinare tutto quel pandemonio col serpente, la mela e il resto del teatrino?
Perché non ti bastavo?
Non so se Dio ci avrebbe davvero regalato l’eternità, come aveva lasciato intendere, o se avesse già deciso un limite al nostro tempo. Ma almeno avremmo potuto trascorrerlo insieme, in armonia.
Avremmo potuto essere felici, io e te. Tu ti saresti presa cura dei miei figli, io non ti avrei fatto mancare nulla. Ti avrei regalato fiori esotici da intrecciare fra i capelli per renderti ancora più bella; tu avresti decorato la nostra casa con l’estro delle tue dolci mani, mani capaci di carezze e di doni.
Ma tu no. Hai voluto fare di testa tua. Hai disegnato il dolore con la punta dei tuoi denti su quella mela lucente, e da allora nulla è più stato uguale. Disgrazia, disgrazia su di te, che hai rovinato tutto!
Hai preteso la libertà di scelta e ti sei condannata a partorire nel dolore, alla paura, alla mia ombra, sottomessa a me per l’eternità, madre di tutte le sventure.
Eppure, da millenni ti guardo rinascere, ostinata come la luna che non smette di tornare.
Forse il vero peccato originale è stato il mio, dettato dalla paura di non bastarti, di perderti se ti avessi lasciata libera, e allora ho scelto l’arroganza della forza bruta, ho stabilito i ruoli e deciso per entrambi.
La tua resilienza, la tua capacità di rinascere e risorgere mi fanno riflettere.
Eva, comincio a stancarmi di questo gioco perverso in cui sono il carnefice e tu la vittima. Forse esiste davvero un altro modo di vivere insieme.
Forse, Eva, è tempo di perdonarci, di cominciare a costruire un nuovo giardino di libertà e rispetto perché i nostri figli e le nostre figlie possano finalmente coltivarvi la pace.
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