Tutti gli articoli di Anna Maria Spiranelli

Ho visto un cielo così terso…

Ieri sera ho visto un cielo così terso, pulito e luminoso… che anche la luna sembrava più luminosa che mai. Se forse apparsa una cometa non mi sarei meravigliata.
La costellazione di Orione era quasi allo zenit ed era visibile con tutte le sue stelle brillanti.
Ho voluto leggervi un segno positivo ….il segno che alle soglie del nuovo anno porterà la fine di questo periodo buio che ci ha allontanato dagli affetti, dalle abitudini, dagli abbracci.
Voglio crederci per me, per chi è nella difficoltà di riprendersi in mano la propria vita e per chi ha perduto affetti.
C’è un grande silenzio mentre scrivo queste righe. Si sta facendo sera e le luci del Natale appena trascorso si sono accese qua e là.
Vorrei trattenere l’atmosfera che fa di questa festa una delle più belle del nostro calendario.
Non si può fermare il tempo e auguro a tutti che venga il tempo delle cose migliori, quelle che erano rimandate e che, senza farci dimenticare ciò che è stato, ci riportino alla speranza di una vita in salita.
Il mio augurio sincero è un tempo buono per tutti.

A tutti coloro che ci hanno lasciato

C’è il suono di una campana che scocca le ore. Sono seduta al tavolo della mia cucina di fronte alle immagini mute di una televisione che non ha più il ruolo del divertimento ma il tam tam di notizie che non vorresti sentire.
Non si riesce ad avere ragione sul nulla se non la costante imperante paura di una ineluttabile sorte alla quale e’ difficile sottrarsi.
I pensieri si sostituiscono ai ricordi che come farfalle si vorrebbero trattenere per sentirsi sicuri di avere avuto momenti diversi di un mondo che, ahimè è cambiato. Non c’è più.

San Martino. Una frazione ai limiti del sud Milano. Una striscia di terra di confino ma viva e abitata da persone laboriose che formavano un nucleo a sé.
La latteria, il fornaio, il vinaio, il colorificio, la merceria, il tabaccaio, la drogheria, il negozio di tessuti, la tintoria, l’immancabile bar, ritrovo per chi, la sera, era solito fare una partita a carte con gli amici.
I bambini che tornavano dalla scuola erano il segno del passare del tempo di una giornata divisa fra l’impegno scolastico e quello del divertimento nei prati dietro i primi palazzi più alti delle vecchie case ormai corrose dal tempo.
I commercianti conoscevano tutti e tutti conoscevano tutti.
Allegria, ma anche difficoltà di chi aveva meno ma conosceva la solidarietà tradotta in aiuto da parte di chi poteva.
Non erano facili i giorni delle nebbie che duravano giorni, che sapevano di zolfo che arrivava dalle colate di acciaio della vicina ferriera.
L’inverno sembrava un castigo per chi viveva al di qua’ della barriera umida e scura.
Poi, una giornata ti annunciava la primavera con la fioritura nei piccoli cespugli erbosi di tanti piccoli non ti scordar di me.

E ritornava l’energia di vivere nuovi giorni.

A tutti coloro che ci hanno lasciato non solo i ricordi ma l’esempio del semplice vivere.

Ricordi d’infanzia

Quando mia madre ci disse che saremmo andati via – allora si diceva “faremo San Martino” era il 29 giugno del 1959.
Ricordo la mia corsa nella piccola stradellina dove andavo con Annarosa a cercare le prime viole di campo e la Iuli ci veniva dietro con la sua andatura, fermandosi di tanto in tanto dietro di noi con il suo fare pigro.
La Iuli era un setter da caccia dal pelo maculato tra il rosso e il bianco.
Le volevamo bene e lei voleva bene a noi.
Ricordo le sue cucciolate che ci rendevano felici. La sua cuccia era nel garage del nonno Tranquillo di nome ma non di fatto.
Guardavo il profilo del pioppeto lontano, avvolto dai colori dell’imminente tramonto che avevo visto tante volte in quei dieci anni trascorsi al mio paese..
Le mie lacrime scendevano silenziose sulle mie guance, nella consapevolezza che quei momenti non li avrei più avuti.
Infatti, il nostro trasferimento a Milano, in periferia, avvenne di notte.
Arrivammo il mattino presto dove, ad attenderci era il portiere di un vecchio edificio a cinque piani.
Lì c’era il nostro appartamento composto da due stanze, con il bagno fuori sulla ringhiera.
Io piangevo, stordita per il viaggio ma soprattutto mi sembrava tutto così irreale.
Tenevo tra le braccia una bambola di pezza che mi aveva dato mia madre, che stringevo a me come l’unico bene che mi fosse rimasto.
Alle prime luci del mattino scorsi le ringhiere del palazzo opposto ….ci divideva un cortile.
Una parete a lato lasciava intravedere oltre una porta senza rifiniture, l’ingresso a un cortile più piccolo che portava a una palazzina più piccola di quattro piani.
Ricordo il colore dei gerani, tanti gerani e qualche oleandro che le donne avevano messo per abbellire il loro impossibile giardino.
Il primo giorno fu un andirivieni di scatoloni, portati a braccia da mio padre e dagli zii che ci avevano dato il loro aiuto per sistemare i pochi mobili.
Iniziava l’estate.
Le famiglie che vivevano nel palazzo erano tantissime. Tanti bambini e tanti gatti che gironzolavano intorno facevano parte del mio nuovo mondo.
Quel 29 giugno aveva un’aria di festa e si notava tanta allegria nel vociare delle persone.
Mi colpì vedere la ringhiera di fronte, al terzo piano, tutta ornata di fiori fino al piano terreno.
Come mai tutta quella parata?
E arrivarono molti curiosi da fuori con volti sorridenti.
Ma certo : la Rosa e il suo Domenico festeggiavano cinquant’anni di matrimonio e tutti volevano esserci : grandi, piccini e gatti.
Arrivò pure la banda
Tutti con i nasi all’insù nella direzione dei festeggiati circondati da figli e nipoti. Iniziarono le note di “oh mia bela Madunina”
Amavo la musica, la banda intono’ altri motivi più o meno melanconici e con gli altri bambini, che ancora non conoscevo, fui trascinata in un girotondo senza fine. Un’altra vita era al suo inizio.
La Signora Rosa era una bella donna con i capelli completamente candidi raccolti dietro la nuca. Il suo Domenico lo ricordo con i baffoni enormi all’Umberta. Aveva gli occhi di un azzurro trasparente.
Due persone emozionate da tutto quel trambusto organizzato per loro da quella comunità festante.
Quel cortile, anzi, i due cortili erano divenuti un piccolo cosmo.
Notai che la parete divisoria fra i due cortili era ornata da fiori color glicine. Erano IRIS.
Li avrei visti fiorire negli anni che seguirono e compresi nel tempo l’arrivo dell’estate.

Eri bellissima….

Sono trascorsi ormai quattro anni da che sei stata colpita dall’ictus. Ti sei ripresa subito dopo le cure e il ricovero al centro di riabilitazione di un’altra città e lì, sei stata subito amata da tutti, in particolare dal dottore giovane e gentile che hai ricordato sempre con l’affetto di una madre verso un figlio.

Sono stati anni duri per te ma anche per noi e in particolare per me che ti ho sempre vista vincere tutte le battaglie. Con il tempo, fra alti e bassi, dopo un altro attacco che ti ha colpito la parola, sei rimasta definitivamente immobile su una carrozzina, assistita da una donna venuta da lontano e che dimostra nei tuoi confronti un affetto quasi filiale e tu, per riconoscenza, spesso le sorridi e le dici “cara, cara”.

Mamma, come sei indifesa ora, sembri una bimba impaurita che cerca come può le mani di tutti per paura di essere lasciata sola.

Io sono qui – non mi vedi? sono qui da sempre e ti rivedo com’eri  bella, gentile, a volte triste e piena di idee romantiche come quando mi raccontavi di re e regine. Tu sapevi tutto di loro e, ai tuoi tempi, i rotocalchi parlavano di cose leggere su cui sognare anche se il mondo da qualche parte stava cambiando.

Bastava un matrimonio regale per dimenticare le proprie miserie e delusioni e tu ne avevi avute!!!

Non è facile raccontare il rapporto avuto con te e i sentimenti che provo oggi, sono così diversi da quelli di un tempo! Non me ne volere ma qualche volta avrei voluto andarmene via per non sopportare certe situazioni che creava la tua incapacità di affrontare gli imprevisti della vita. Non accettavi i cambiamenti, le separazioni dei tuoi figli con le conseguenze che conosciamo.  Ed io? sempre lì accanto a te, a consolarti cercando di medicare le tue ferite inconsolabili. Ero la tua spada, il tuo scudo contro tutti e non me ne rendevo conto perché amavo te e poco me.

Certamente eri bella e lo ricordo vivamente come quel giorno che venisti a “ritirarmi” alla stazione di Milano di ritorno dalla colona estiva. Ero appena scesa dal treno con gli altri bambini e allungavo il collo per cercare mio padre – veniva sempre lui a prendermi, ricordi ?

Ma quella volta no e non ti vidi fino a quando una compagna di viaggio esclamò …..come è bella quella signora! Sembra un’attrice!

Eri bellissima!

Oggi, chi ti viene a trovare a casa, prima di lasciarti dice sempre un complimento alla freschezza del tuo volto senza rughe ed io ti vedo sorridere maliziosamente compiaciuta.