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IL MIO AMANTE

Il mio amante ha la fragranza di un biscotto appena sfornato. Mi inebrio della sua pelle di seta, il suo abbraccio mi avvolge in una nuvola di cacao. Scendo negli abissi attraverso i suoi occhi di carbone, i suoi denti aguzzi di cucciolo gli illuminano il viso. Gli sto insegnando a sorridere.

Labbra fatte per baci voluttuosi come non ne ho avuti mai e muscoli come anguille che risvegliano emozioni sepolte nel mio cervello preistorico.

Non è un musicista, non è un creativo, non è un accademico, eppure mi ha catturato. Ė un interessante ambasciatore di un altro mondo che mai avrei pensato mi sarebbe stato dato un giorno di conoscere.

Ogni tanto non ci capiamo, ci incartiamo, ci scontriamo perché in quest’era fatta di messaggi virtuali le parole non sempre sono sufficienti. Servono sguardi, mani, ore passate insieme, fili d’argento tesi da ombelico a ombelico a collegare anime affini.

Il tempo insieme è un ruscello che scorre impetuoso, il nostro rapporto ha carattere torrentizio.

LA MIA PIU’ GRANDE PAURA

La mia più grande paura è di non riuscire più a permettermi di vivere nella casa in cui sono cresciuta, la casa dei miei genitori e della mia giovinezza, la casa dei ricordi e delle insofferenze, del giardino e delle continue migliorie.

Questa casa mi tiene ancorata al mio destino e alle mie paure, è in fondo la misura della mia vigliaccheria. Non solo, è anche ben al di sopra di un’impronta di anidride carbonica accettabile e, forse proprio per quello, mi fa sentire una gran dama.

Questa casa, che mai sarei stata in grado di acquistare e che mi è stata lasciata in eredità, rappresenta il cordone ombelicale che mi collega alla mia terra, al mio Paese, a quel che resta della mia famiglia.

Questa casa mi dà sicurezza e al tempo stesso è la causa delle mie paturnie, delle mie insonnie notturne, delle mie angosce per il futuro; mi dà al tempo stesso continuità e senso di appartenenza, mi aiuta a camminare diritta per la mia strada, senza cedere alle tentazioni di un mondo ormai impazzito. Queste pareti, intrise di ricordi e di voci familiari, emanano una fiducia incoraggiante, sussurrano le parole buone di mio padre e le urla gioiose di mia madre, sono lo scalpiccìo delle zampe bianche di Yuri, le corse pazze di gioia di Puffy, il profumo pomeridiano della Oma su per le scale. Questa casa è tutto quel che resta di noi, dopo che ce ne saremo andati, forse è per quello che è così difficile immaginare di separarmi da essa.

Il Carnevale

Ogni anno mi prende una grande eccitazione per il Carnevale. L’emozione di vivere per qualche ora nella pelle di un altro personaggio si impadronisce di me e mi mette una specie di frenesia addosso. Purtroppo non riesco mai a preparare per tempo il costume che vorrei.

Ogni anno, al termine dei festeggiamenti, faccio elaborati piani per farmi trovare pronta alla scadenza successiva, ma quasi mai ci riesco.

Non tralascio però di travestirmi, seppure con poco.

Quest’anno ho percorso a piedi mascherata da angolana il tragitto da casa mia al paese vicino, dove la ricorrenza viene festeggiata più in grande stile da grandi e piccini. Era una bella giornata mite benedetta da un sole caldo. Sono partita a piedi col volto coperto da una maschera e con una gran voglia di fare una passeggiata. Lungo il percorso ciclo-pedonale ho mietuto sorrisi benevoli da coppie di mezza età, sguardi sorpresi da automobilisti di passaggio, occhi sgranati da bambini in bicicletta, increduli che anche gli adulti potessero vivere così profondamente questa festa. Già il percorso di avvicinamento al luogo dei festeggiamenti è stato un divertimento. Ogni tanto si incrociava lo sguardo con altre maschere e subito era intesa, sorrisi abbozzati o addirittura uno scambio di battute.

Una volta sul posto, la musica ad alto volume, i carri allegorici, la quantità di maschere mi hanno travolto e alleggerito. Insieme a molte dozzine di persone abbiamo sfilato per le vie del paese. Ho chiesto a numerosi gruppi e singoli il permesso di fotografarli, alcuni costumi erano davvero originali.

Il tema proposto quest’anno dalla ProLoco del paese era il riciclo, dunque abbondavano ampi abiti femminili realizzati con cucchiai di plastica, con carta di giornale, con materiali vari di recupero. Alcuni uomini erano vestiti da rifiuto, con una tuta bianca e una grande R sulla schiena. Ho addirittura scorto un uomo vestito con un abito realizzato in Pluriball!

Dopo l’esibizione danzereccia, la distribuzione di chiacchiere e la premiazione delle maschere più originali, il mio tragitto verso casa è stato allietato dalla dolcezza del tramonto sulle campagne circostanti, questi paesaggi rurali costellati da vecchie cascine tranquille, non degne di nota, ma comunque a me care.

L’anno prossimo voglio vestirmi da Marianna (Maid Marian), l’arciera della saga di Robin Hood.

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