Io piccola

Ciao Bambolina

Sei proprio tenera con quelle guanciotte, in braccio al tuo papà. Hai uno sguardo sorpreso, come chi dal mondo ha voglia di imparare tutto.

A me hanno sempre detto che questa è un’ottima qualità. Ti rende più forte, più consapevole. In effetti ti devo dire che in parecchie situazioni mi ha aiutato e mi ha dato molte soddisfazioni, ma anche delusioni. Eh si ragazzina, perché tutta questa bravura sposta sempre più in alto l’asticella delle aspettative degli altri nei tuoi confronti. E’ un grosso peso.

Ti voglio raccontare una storia. La storia di una guerriera che ogni giorno deve guardarsi le spalle per non cadere nelle trappole, ogni giorno deve combattere per non soccombere contro i mostri.

Cosa potrebbe desiderare di più una guerriera così?  Pace, serenità, deporre le armi e non avere paura. E così va alla ricerca di un compagno che possa guardarle le spalle mentre lei si riposa.

Durante questo viaggio incontra un mago, che per un breve periodo la fa sentire amata. Da questa magia nasce un bambino. Per la guerriera fu subito amore a prima vista. Provava un amore inteso, infinito, un amore così grande quasi da far paura. Paura che al piccolo potesse succedere qualcosa di brutto, paura di non essere all’altezza, di non poterlo difendere. La guerriera decise che adesso la sua priorità era difendere il suo piccolo.

Il mago li abbandonò, ma lei non si sentì persa

Gli anni passarono combattendo contro ogni mostro che cercava di fare del male a lei e a suo figlio.

Durante il tragitto conobbe Troll travestiti da maghi e guerrieri. Fu ferita spesso, qualche volta anche in modo mortale.  Le era anche capitato di sentirsi così stanca da pensare di non rialzarsi, ma poi lo sguardo di suo figlio, la sua tenerezza, la facevano sempre sollevare impugnando la spada e lo scudo.

Ora suo figlio è più grande, ben presto diventerà uomo. Lei invecchia e incomincia a sentire il peso dei suoi anni. Si preoccupa di non aver insegnato abbastanza a suo figlio, teme che, quando non ci sarà più lei a proteggerlo, gli possa succedere qualcosa di terribile.

Eh ma ragazzina chi può conoscere il futuro?

La morale della storia che ti ho appena raccontato è: una Donna che ama è capace di ogni sacrificio.

Certo amare qualcuno, voler bene a qualcuno, è pericoloso. Questo qualcuno potrebbe farti male, anche involontariamente. Ma credimi, quando ti dico che ne vale la pena.

Conviene rischiare per quel sentimento che proverai, per quei momenti che vivrai. Sono ricordi che ti porterai dentro. Assapora ogni attimo di quei momenti, assimila ogni aspetto, anche il profumo. Perché questi ricordi nessuno te li porterà via.

Quando diventerai grande e ti sentirai stanca, delusa e triste, tira fuori uno di questi ricordi, chiudi gli occhi e rivivi quelle emozioni. Quando riaprirai gli occhi, il tuo cuore sarò ancora gonfio d’amore. Ti alzerai da quella sedia, prenderai la tua spada e il tuo scudo affrontando la vita.

 

Tua Valeria

Ricordo la prima volta che ci siamo conosciute.
Eravamo in quarta elementare, la sezione B della mitica maestra Balducci. Non ricordo il mese esatto, solo che l’anno scolastico era già cominciato. Bussarono alla porta ed entrasti tu, accompagnata da tuo padre. Timida e magra, con le gambette secche, tutta occhi e denti bianchi.

Tuo papà chiese se qualcuna di noi abitasse vicino a casa vostra, per riaccompagnarti a casa a lezioni terminate. Tu abitavi in via Kramer 29, io in via Kramer 35. Naturalmente alzai la mano e, il mio gesto, segnò per sempre la nostra amicizia.
Con mio grande rammarico non ho foto che ci ritraggono insieme in quel periodo. Però ricordo bene la scuola, i pomeriggi passati a fare i compiti a casa mia, le lezioni di catechismo in Oratorio, i giardinetti percorsi in lungo e in largo insieme ad Annalisa e Giuliana.

Ci separavamo solo nei mesi estivi: io a Riccione e tu a Soveria Simeri, perché alle nostre origini noi ci abbiamo sempre tenuto e, quando potevamo, tornavamo a casa. Alle medie tu decidesti di iscriverti alla Oriani per seguire le orme di tua sorella Brunella, mentre io, Annalisa e Giuliana ci iscrivemmo alla Locatelli, a pochi metri ma svariati anni luce di distanza. Noi con il grembiule nero, classe rigorosamente femminile e austera, tu in classe mista.

Scuole diverse ma, i pomeriggi, li passavamo sempre insieme. A casa mia a studiare un po’ a fatica, a casa tua a leggere i fotoromanzi di Brunella e a sognare improbabili avventure con Franco Gasparri. I nostri primi amichetti maschi, le nostre prime cottarelle le dobbiamo a te, che generosamente condividesti con noi i vari Bono, Roveri e Capelletti. È buffo, non ricordo i loro nomi di battesimo: avevamo mutuato la tua abitudine di chiamarli tutti per cognome, come in classe.

Poi le superiori, i primi fidanzatini ufficiali. Del tuo Noris io ero molto gelosa, perché per un po’ era riuscito ad allontanarci. Quando vi siete mollati ho fatto la Ola. Poi arrivò l’impegno politico. C trovammo anche noi a cantare insieme a Guccini “La locomotiva, come una cosa viva, lanciata a bomba contro l’ingiustizia”. In classe non ci stavamo mai, però abbiamo costruito delle amicizie vere, quelle che durano per tutta la vita.
In quarta decidesti di emanciparti. Ti iscrivesti alle serali e, di giorno, andasti a lavorare dal dentista Perini come assistente di poltrona. Durò solo un semestre, il tempo di pentirti e tornare sui tuoi passi, che però ti costò l’anno scolastico. Classi diverse ma i pomeriggi sempre insieme al circolo giovanile Roberto Franceschi, a parlare di politica e a sognare la rivoluzione.

Poi le nostre strade si sono divise: io a Londra e in giro per l’Italia, tu trasformata in una madre bambina che, giorno dopo giorno, ha dovuto crescere insieme a suo figlio. Mi confidasti, anni dopo, che nei momenti difficili pensavi a me per darti forza. Quanto rimpiango ora di non esserti stata accanto! Nel 1991, al mio ritorno da Francoforte, tu invece c’eri. Ci sei sempre stata per me.

Negli anni ’90 tu il teatro, io il ballo e poi il giornalismo. Grandi passioni che, se pure ci allontanavano fisicamente, non hanno mai potuto separarci. Era come se il tempo non fosse mai passato. Eri la mia memoria storica, ricordavi tutto e tutti: volti, nomi, aneddoti, circostanze. Io al tuo confronto ero la “smemorata di Collegno”.
Però poi tu hai cominciato a dimenticare. Un episodio alla volta, pezzo per pezzo hai disfatto la tua vita. Pezzo per pezzo insieme alla tua hai disfatto anche la mia, perché senza di te come faccio a ricordarmi tutti gli aneddoti del nostro passato insieme?

Eppure l’amore profondo, l’amicizia, le risate, le litigate e le riappacificazioni, le confidenze, la sensazione di totale fiducia che ci hanno legate sono vivide come sempre. La mia mente ritorna con te sui banchi di scuola o ai giardinetti, mano nella mano come allora.
Dentro di me non è cambiato niente. Io ti ricorderò sempre, ricorderò anche per te.
Tua Valeria

Vita privata

Il mese scorso dei ladri sono entrati nell’appartamento di Parigi dove a volte ricevo il mio Paul ed hanno rubato solo le nostre lettere d’amore: di sicuro ladri inviati da sua moglie, gelosa e aggressiva. Sono vedova di Pierre da qualche anno , abbiamo avuto due figlie ed ora sono innamorata di un uomo più giovane di me .

Nella mia dura vita ho incontrato tanti pregiudizi: sono straniera,  sono laureata, insegno in una prestigiosa università, lavoro in un campo tipicamente maschile, ho ricevuto due premi Nobel. Eppure sono finita sui giornali con scandalo per il mio amore verso un collega ed amico di famiglia sposato e con figli.

Niente frivolezze nella mia dura vita, anche nelle foto che vedete sono sempre seria, una austera donna vestita sempre di nero. Solo una sera, ad una cena di lavoro, mi videro arrivare vestita di bianco, con un fiore sul petto: mi ero innamorata.

Ho lavorato duramente anche con mio marito, nel nostro laboratorio di fortuna, con strumenti rudimentali e sono molto orgogliosa di questo. Poi all’improvviso, da celebre ed ammirata scienziata sono diventata la straniera rovina famiglie ma ho un principio: la mia vita privata non vi riguarda.

Ora Paul rimane in famiglia e di rado mi raggiunge nel nostro appartamento, io sono stanca, non mi sento molto bene e qualche collega invidioso dice che le mie scoperte sono pericolose ma io lo nego decisamente!!

 

Io sono   Marie Sklodowska   vedova Curie

 

Morta di leucemia senza sapere della pericolosità delle sue scoperte

e sepolta a Parigi nel Pantheon in una cassa di piombo a causa delle radiazioni

 

BARBARA

Questo è un periodo pesante, ho poca voglia di feste e di mimose, mi hanno scoperto un cancro al polmone.

Dopo tanti dolori ed esami la verità è stata durissima da accettare; ho già iniziato il percorso di cura per questi mali, chemio, radioterapia, tante pillole ogni giorno. Sono stanca, spesso neanche ho voglia di ascoltare Roberto  o nostra figlia Carlotta che a cena parlano e mi raccontano del lavoro o della giornata all’università.

A me ormai non chiedono nemmeno più :” Come stai oggi?”

Mi accorgo che cercano di tenere viva la conversazione, nonostante i miei silenzi, e tra di loro fanno battute o raccontano di amici o del clima; forse non riescono ad affrontare il mio male, i miei dolori e la mia paura.

Ho tanta paura, a volte le lacrime scendono e neanche me ne accorgo… Con le amiche ora ci sentiamo al telefono e il tempo non passa mai, dormo tanto, cerco di leggere e la televisione è accesa ma non la ascolto.

Solo il  cane riceve ancora da me la sua dose di coccole.

Mi preoccupo della casa, della polvere, dei pasti non pronti, dei panni da stirare… come faceva mia madre.

Passerà, andrò con le amiche a prendere l’aperitivo, partirò per vedere l’aurora boreale, porterò a spasso il mio grosso cane.

Donne

Tutte diverse.

Creature dalle mille sfaccettature.

A volte simili ma mai uguali.

Così come creano  la vita, partorendo nel dolore e nella sofferenza, riescono ad uccidere nel nome dei propri ideali

Sanno amare teneramente e a volte incondizionatamente, ma se pensano che gli avete fatto un torto vi odieranno per il resto della vita

Hanno paura dei film dell’orrore, oppure del tizio strano che incrociano, ma come diventano coraggiose quando devono difendere i propri figli, le proprie amiche, i propri affetti

Le puoi trovare a fissare fuori da una finestra e a meno che lei non te lo voglia dire non saprai mai a chi o a cosa sta pensando: forse a lui a l’unico uomo che abbia mai veramente amato, forse a suo figlio,  che anche se è un bravo ragazzo c’è sempre qualcosa che la preoccupa, forse sta pensando al lavoro, c’è sempre un problema da risolvere o più semplicemente a cosa preparare per cena

Il Moderno Prometeo

Ormai la sera è giunta, ma prima di andare a letto come da sempre una spazzolata ai capelli.

Mi guardo allo specchio e  penso a mia madre Mary con le sue idee.

Lessi uno dei suoi scritti e le parole mi risuonano ancora nella mente:

” E’ ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere le donne, è ora di restituirle la dignità perduta e di far si che esse, in quanto parte della specie umana, operino riformando se stesse per riformare il mondo “

Scrisse tanto sull’argomento, ma io non potei mai sentire il suono delle sue parole. Morìì dandomi alla luce.

Però io sono cresciuta nello stesso ambiente con le stesse idee e con la possibilità della libertà di pensiero

Non sono mai stata una donna facile, avevo proprio un carattere libero

Ed è stata proprio questo mio atteggiamento verso la vita che mi ha portato a dichiarare il mio amore a Percy. Non mi importava che lui fosse già sposato e che io avevessi  solo sedici anni. Come potevo non innamorarmi di un poeta che scriveva dell’amore libero?

Tre anni fa siamo scappati in Europa per creare la nostra famiglia

In questi anni ho avuto tre figli, due femmine e un maschio. Purtroppo le mie bambine sono morte

Ho sofferto tanto per questo motivo

Sono stata sempre circondata da poeti e scrittori di grandi vedute. Fu proprio quando avevo 19 anni che Percy ed io frequentammo la casa di Lord Byron. Lì trascorremmo spesso il tempo parlando di Erasmus Darwin, dei suoi esperimenti e del Galvanismo

Mi affascinavano tutti quei discorsi sulla  rianimazione

Una sera Lord Byron lanciò una sfida a tutti i presenti e cioè scrivere una storia di fantasmi…

Quella notte non dormiii, dentro di me una storia prendeva vita…La storia diventò un libro…

Oggi quel libro è stato pubblicato in forma anonima…E’ stato deciso cosi, visto il tipo di romanzo,  sarebbe preferibile che non si sappia che sia stato scritto da una donna e per giunta anche cosi giovane

Però sogno il giorno che potrò affermare: “io sono Mary Shelley e ho scritto Frankenstein, o il Moderno Prometeo!”

Valentina Tereškova

 

Ci sono cose che mi emozionano infinitamente, sono le cose che amo e alle quali non posso dare un solo nome, se non ‘immensità’.

Quando mi sveglio è ancora buio, buio totale. La notte è perfetta, senza luna.

Accendo il lume, bagliori tremolanti s’infrangono sulle pareti nodose e profumate di pino. Nella camera fa freddo, il fiato si addensa come fumo rarefatto. Alla finestra i vetri gocciolano lacrime di condensa.

Mi alzo di scatto, non voglio perdermi lo spettacolo. Ma faccio piano, che sennò mamma si sveglia e mi ricaccia a letto.

Sono già vestita, manca il cappotto che è appeso vicino all’uscio.

Cammino cauta, so quali assi di legno scricchiolano, e io le evito.

Vicino all’ingresso calzo gli stivali, metto la sciarpa, il cappello, i guanti e il cappotto. Sopra lo scialle della notte.

Fuori, la temperatura è scesa sotto i venti gradi. La neve ha una crosta ghiacciata che si spacca ad ogni passo. Mi allontano di qualche metro, avanzo nel giardino antistante la casa.

Mi siedo per terra, affondo un poco. Poi mi sdraio, a occhi chiusi. Il freddo entra nel naso, ma io faccio un gran respiro per trattenere l’emozione. Tra poco aprirò gli occhi e lo vedrò. Il cuore accelera, le guance si scaldano.

Conto fino a tre prima di sollevare le palpebre. Lo sento, è sopra di me,.grande. Infinito.

Uno, due tre.

Il fiato esce dai polmoni. Non riesco a descrivere la gioia, la bellezza.

Il cielo, il cielo è gravido di stelle. Paiono chiamarmi come sirene di Ulisse. La volta ha il colore del cobalto e dello zaffiro, è un tessuto tempestato di brillanti. Allungo la mano, sembra di poterlo toccare. Poi con un dito indico le stelle, accarezzo la via lattea. Immagino di volare come un gabbiano, di girare nello spazio. Io sarò gabbiamo, sussurro, aspettami infinito, che da te arriverò.

Nella casa si accende una luce. Mamma apre la finestra e mi chiama: «Amore, cosa fai lì? Torna che fa freddo, e domani devi andare in fabbrica presto!»

«Arrivo mamma», rispondo.

Mi alzo, gli occhi puntati in alto. Penso: ti prometto che navigherò nell’ infinito siderale.

Il mio nome è Valentina Tereškova, e sono la prima donna nello spazio. Nome in codice čajka, gabbiano.

Donne da favola

Ebbene, miei cari amici, concedetemi una riflessione, qui, tra intimi, nell’atmosfera di queste quattro mura.

Una riflessione sulle donne, sulle femmine, che talvolta, chiamarle così pare pure un po’ dispregiativo.

Per millenni, secoli, decenni le abbiamo confinate nei gradini più bassi della società, delle famiglie patriarcali, degli ambienti lavorativi e persino nelle scuole, a lungo precluse.

Eppure… eppure.. nella narrativa sono spesso le eroine romantiche, le Sante vessate, le eminenze grigie di grandi uomini, le ghostwriter di tante vite.

Soprattutto, sono le protagoniste di ogni favola.

Buone o cattive, belle o brutte, giovani o vecchie.

Prendiamo Biancaneve, per esempio. Ingenua, dolce e incantevole protagonista della fiaba, affiancata suo malgrado dall’altrettanto avvenente madrina. Loro sono i personaggi principali. Mica quel coglione del padre. Perdonate il termine becero, so che vi ha fatto sobbalzare sulle sedie, ma dico, proprio una strega doveva risposare?

E quel fanfarone del cacciatore? «Si signora, faccio io, vado io, ci penso io», e poi se ne torna con le pive nel sacco, che mi fa venire in mente molti… ma lasciamo perdere che sennò va a finire male..

Stendiamo poi un velo sui sette nani. Ometti borderline, se proprio vogliamo dirla tutta. Del resto in giro ce ne sono ben più di sette…

E Cenerentola? ne vogliamo parlare?

Lei, la matrigna, le sorelle, la fata che credo sia turchina, la stessa che salva Pinocchio, tipico esempio di bugiardo. Dicevo, ancora una volta le vere protagoniste sono donne, avvolte in un intreccio pernicioso. Donne che si fronteggiano, in aperto contrasto. E il principe? Ah! Lui. Mah, che dire… quello se ne va in giro con una scarpetta in mano, pronto a sposare la prima che trova con un trentaquattro? Un trentacinque?

Vabbè, qualsiasi considerazione su cappuccetto rosso è un po’ sparare sulla croce rossa. perdonate il cliché ma fa pendant con il colore e la storia. Madre, figlia, nonna: donne fragili ma coese. Gli uomini di questa storia? Un lupo e un cacciatore. Un mangiatore di femmine e uno pronto a sparare sui più deboli. Ah com’è vero Iddio, pare di vedere gente conosciuta.

E poi, altre favole ancora. Che so, la sirenetta, la principessa sul pisello o la bella addormentata nel bosco.

Quest’ultima attorniata da streghe e fate. Donne, donne e ancora donne, in un bouquet profumato e puzzolente di zolfo al tempo stesso. Donne scaltre, ingenue, vendicatrici ma vivaci, vivide, veraci.

Infine lei, Alice, bambina sognatrice di follie, infinitamente divertente, circondata da pazzi, tabagisti, saturnini, bipolari. Eccezion fatta per la regina di cuori. Un po’ isterica, certo, ma al comando di un regno che non c’è, con uomini di carta pronti a cedere col primo alito di vento.

E dire che le favole sono state scritte da uomini!

Macché invidia penis, siamo onesti, qui si tratta di invidia uterus.

Utero, luogo primordiale, culla della vita, primo amore.

È per questo che in ogni uomo alberga una donna.

E in ogni donna, in ogni donna reale, alberga un mondo.

La città in cui vivo

Alle 16 inforco la bicicletta, pedalo per circa venti minuti costeggiando corsi d’acqua e campi coltivati, mi fermo a raccogliere qualche verdura a pagamento che sistemo nelle tasche laterali della bici e sono a casa. Ravvivo la stufa a legna che Lars ha acceso la mattina, dò da mangiare alle ragazze e mi butto sul divano. La mia giornata lavorativa è finita. Accendo una candela e mi godo la quiete della pioggia che comincia a cadere, le ragazze pian piano vengono a farmi compagnia sul divano, prima una, poi due, poi tre. Siamo tutte vicine, pelose e capellute, sprofondate nella morbida pelliccia del copridivano che fa sparire almeno due di loro, perfettamente mimetizzate.

 

Le giornate scorrono lievi, qui. C’è un’alternanza armoniosa di lavoro manuale e intellettuale, propaggini dell’uno si inseriscono nell’altro senza soluzione di continuità ed io mi sento completa.

 

Sull’isola dove vivo non sono ammesse auto. Ci si sposta in bicicletta, in barca, a piedi. Siamo in 1500 e si conoscono tutti. Io no perché sono arrivata sei mesi fa. Non parlo ancora la lingua, anche se la sto studiando, mi arrangio con l’inglese, qui tutti parlano un inglese eccellente, anche se con accento.

 

La mia casa è costruita in paglia e argilla, ha il tetto di alghe impregnate di sale e i muri spessi 50 cm. E’ costruita con tecniche tradizionali che la rendono perfettamente coibentata e traspirante, oltre che ignifuga. Mi colpisce il fatto che quando entro non sento altro odore se non quello delle erbe della cucina e degli oli essenziali che uso per pulire.

 

Decisi di trasferirmi qui una sera di gennaio mentre guardavo un programma di viaggi alla televisione tedesca quando vivevo in Italia. Fu una folgorazione: mi erano sempre piaciuti i Paesi dell’area scandinava, vuoi per la loro oggettiva superiorità di vita, vuoi per l’affinità estetico-emotiva che ho con i Paesi del nordeuropa per via delle mie origini tedesche.

 

Da tempo ero preoccupata per il mio futuro: per il costo della vita, per la mancanza di prospettive lavorative nel mio Paese alla soglia dei cinquant’anni, per  le nuove normative che l’Unione Europea sfornava a ogni piè sospinto e che stavolta rischiavano di azzerare il valore dell’immobile ereditato dai miei genitori in cui vivevo.

 

In quattro e quattr’otto ho deciso: mi sono candidata per gestire un negozietto di seconda mano specializzato in abiti d’epoca femminili e accessori tessili, ho cercato una camera in affitto nella stessa località, ho caricato in macchina le ragazze e il minimo necessario per vivere felice con le mie piccole comodità e sono partita per la Danimarca.

 

Della mia vecchia casa, troppo grande per me, si occupa una mia amica d’infanzia, l’unica di cui mi fidi veramente per queste cose, occasionalmente mio fratello. Le bollette finiscono direttamente sul mio conto bancario.

 

Col mio lavoro guadagno appena il necessario per sopravvivere, ma è una sfida che tutto sommato non mi pesa. Fortunatamente non ho grandi vizi, i beni accumulati nella mia vita precedente bastano fino alla fine dei miei giorni e oltre.

Tra sei mesi deciderò se vendere la mia vecchia casa con tutto il suo contenuto.

La mia città preferita

Questa volta il nero non mi ha portato fortuna: ho perso subito i pezzi più importanti, accecata da una furia di conquista che mi ha fatto dimenticare di tener d’occhio i pedoni dell’avversario. Una volta cadute le due torri, la partita era praticamente conclusa.

Mi resta la soddisfazione del tavolino da scacchi trovato stamattina con Jens al mercatino del municipio di Schoeneberg, quello del famoso discorso di JFK del 1964; un tavolino così era un mio sogno da diversi anni.

Spero che tra poco, dopo un pranzo ristoratore, ci scappi un piccolo concertino alla chitarra con canzoni che conosco anch’io.

 

Vivo a Berlino da sei mesi, dopo aver fatto avanti e indietro per 10 anni. E’ stata una storia d’amore fin dall’inizio, una città dove mi sono subito sentita a casa.

Tutto iniziò con la conferenza Servas tedesca a cui fui invitata perché parlavo la lingua. Dovendo decidere presso quali soci pernottare, decisi di chiedere ospitalità a Petra e Uri (“Petra non è una complicata” mi aveva detto Connie, la Segretaria Nazionale, ed era vero) ; poche ore dopo aver conosciuto Petra avevo deciso che era stato il mio angelo custode, mia mamma, a farmi incontrare quella donna straordinaria.

 

Per età poteva essermi madre, ma aveva l’entusiasmo e l’agilità di una ragazzina. Quando cerca qualcosa negli armadietti della cucina, ancora oggi si siede per terra a gambe larghe, tipo Pippi Calzelunghe, e comincia a rovistare, mi fa morire dal ridere.

E’ molto attenta ad ogni cosa che dici, ascolta assorta, partecipa con tutto il suo essere e fa domande acute e pertinenti. Usa la lingua in modo giocoso e arguto, piegandola ai suoi capricci e facendole fare volteggi acrobatici, una specie di Oscar Wilde in gonnella. E’ una donna colta e brillante, stranamente dotata di un complesso di non-essere-mai-abbastanza.

 

Abito poco lontano da lei, nella via più lunga di Berlino nel quartiere di Charlottenburg, in un grande appartamento al pianterreno di un palazzo azzurro e bianco di quattro piani sotto la protezione del Dipartimento delle Belle Arti. Ho avuto fortuna perché una ricca vedova sempre in giro per il mondo aveva bisogno di qualcuno che le curasse la casa e le bagnasse le piante, in cambio posso abitare qui a costo zero.

Sulla facciata c’è un bovindo schermato da tende leggere che dà sul doppio soggiorno, un tempo il locale destinato agli uomini, poi quello meno luminoso destinato alle donne, quindi un lungo corridoio di 9 metri con porte sui lati conduce rispettivamente a una camera-ripostiglio, a una cucina, al bagno e alla camera da letto. Io mi sono sistemata sul divano-letto in soggiorno, accanto al Ficus Benjamin, alla Kenzia e alla Sansevieria che curo come delle figlie.

 

Il palazzo ha un androne molto signorile, anche se manca di ascensore e questo per gli altri inquilini è un problema. Per me no, anzi, io sono ben contenta di abitare al pianterreno perché così le mie bambine hanno accesso al giardino sul retro. Il giardino è in condivisione, ma va bene lo stesso. E’ chiuso e così non rischiano di venire investite dalle auto.

 

Ogni mercoledì ci incontriamo a turno a casa dei membri della Società Teosofica. Quando ospito io indirizziamo i nostri sforzi verso un volontario allontanamento della famiglia Thamm al pianterreno, in modo che liberi gli altri condomini dal suo opprimente ostruzionismo in sede di assemblea condominiale. Se riesco nell’intento, il premio è un viaggio un Provenza, mi ha assicurato la proprietaria dell’appartamento.

 

Il palazzo è tranquillo, popolato prevalentemente da anziani professionisti. Con due appartamenti per piano, raramente si incontra qualcuno. Il luogo di aggregazione principale è il locale smaltimento rifiuti, dove ho fatto la conoscenza della maggior parte dei condòmini, che tra un bidone troppo pieno o un rifiuto mal riposto si lasciano andare a qualche confidenza che apre la porta alla conversazione. Durante uno di questi ameni incontri ho fatto la conoscenza di un distinto signore del terzo piano, che studia da anni l’italiano ed è appassionato di cucina. Sembra che il suo piatto forte sia la salsa di pomodoro all’aglio che non vede l’ora di farmi provare ed io non ho cuore di rivelargli che da noi, insomma, non è tenuta in grande considerazione. Sì, perché qui bisogna stare attenti: basta una piccola critica e subito ti guardano storto.

A me non piacciono parecchie spezie qui molto usate, ora passo per una persona difficile. E sì che sono solo:

– anice

– cumino

– coriandolo

– curry (non la curcuma, proprio il misto di spezie per il curry)

– aneto fetido (beh, già il nome…)

– liquirizia

– cannella

– assenzio

– senape

– semi di finocchio

 

 

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